Tiene gli occhi bassi Carla, ventitreenne di Beirut, come se leggesse su un libro invisibile una storia che ancora fa male: “I genitori l’hanno trovata a letto con una ragazza e hanno così scoperto che era omosessuale”, racconta Mira (21), la sua compagna, anche lei originaria dell’unica metropoli del mondo arabo dove essere dichiaratamente gay è possibile. Anche se potenzialmente illegale.
Esiste un articolo del codice penale in Libano, il numero 534, che sanziona i “rapporti contro natura” con un anno di carcere. “La 534 non fa riferimento esplicito all’identità ma solo all’atto sessuale e viene applicata raramente”, precisa Ghassan Makaram, direttore di Helem, l’unica associazione di omosessuali legalmente riconosciuta in un Paese arabo.
“L’articolo però – prosegue – legittima indirettamente gli atteggiamenti omofobici”.
Makaram parla di licenziamenti ingiustificati, espulsioni dalle università, rifiuto di cure mediche o arresti sommari “per prostituzione o droga”. Ma secondo l’attivista i casi più gravi di omofobia avvengono a casa: “Se vieni da una famiglia povera, spesso cercano di ‘guarirti’ con le percosse”.
“Mia madre è una persona aperta – racconta Mira – ma da quando ha scoperto che sono gay quasi non mi lascia più uscire”.
A differenza dell’Italia, dove ultimamente si sono verificate violenze contro gay e lesbiche, nel Paese dei Cedri tali episodi avvengono di rado per strada. L’ultimo caso eclatante, quello di due ragazzi picchiati dalla polizia perchè sorpresi a “fare sesso” in un palazzo in costruzione, aveva suscitato forti proteste da parte della comunità gay locale, scesa poi nel centro di Beirut nel primo sit-in di protesta della storia di tutto il Medio Oriente.
A manifestare contro la 534 c’era anche Carla. Per la giovane musulmana, figlia di una società che vuole mostrarsi come “oasi liberale” ma anche come”custode della morale”, il percorso non è stato facile: “Molti mi davano dell’animale, dicendo che cercavo solo il piacere”.
Diversa è l’esperienza di Bertho, operatore turistico, l’unico che organizza viaggi “gay-friendly”, cioè per turisti omosessuali, nella regione. “La vita qui è libera. Ci sono locali, discoteche, luoghi dove ‘abbordare’ altri gay”, afferma. Per Bertho, che ritiene l’omofobia un problema marginale che esiste in Libano quanto in Europa, la guerra ha reso la gente aperta al cambiamento: “Quando cadevano le bombe, nel 2006, l’Acid – uno dei ‘club’ della capitale – non ha mai chiuso”, afferma ricordando la guerra tra Israele e il movimento sciita Hezbollah.
Carla che lotta per i diritti civili, e Bertho che mostra ai turisti il volto ‘gaio’ del Libano, non ci pensano nemmeno a lasciare la loro Beirut: “Amiamo questo Paese”, conclude Carla dando un buffetto sul viso alla sua partner. “Perchè mai andarcene?”.