Preti pedofili: Benedetto XVI e Bertone sotto accusa. Nel 2001 ordinarono ai vescovi di tacere sugli abusi

Il Papa Benedetto XVI

Nel pieno delle polemiche per lo scandalo degli abusi sessuali commessi dai sacerdoti tedeschi e da quelli irlandesi, viene riesumata dal passato, esattamente dagli anni Novanta, una vicenda giudiziaria che lo riguarda direttamente il Papa, Benedetto XVI. Nessun giornale ne ha dato notizia, solo l’americano New York Times.

In quegli anni, Benedetto XVI era prefetto per la Dottrina della fede, a Roma, ma, a migliaia di chilometri di distanza,  in un tribunale del Texas, venne accusato  di “cospirazione contro la giustizia” (da noi sarebbe favoreggiamento), per aver coperto alcuni sacerdoti cattolici accusati di abusi sessuali su minori.

La posizione processuale di Ratzinger venne poi stralciata, quando fu eletto Papa,  su richiesta del governo americano (il presidente era allora George Bush), in quanto, come Capo di Stato, godeva di tutte le protezioni e garanzie connesse con la carica.

La storia ha inizio a metà degli anni Novanta a Houston, in Texas, quando tre ragazzini denunciarono di essere stati violentati da un seminarista colombiano assegnato alla chiesa San Francesco di Sales. Il suo nome è Juan Carlos Patino Arango, all’epoca insegnava loro orientamento psicopedagogico.

All’inizio di quest’anno, 2010, il relativo processo è entrato nel vivo, con un clamoroso colpo di scena. L’avvocato delle giovani vittime, Daniel Shea (ex seminarista a sua volta) ha presentato alla Corte distrettuale di Harris County un documento, scoperto e pubblicato già nel 2003 dal quotidiano americano Worcester Telegram&Gazette. Si tratta di una lettera “strettamente confidenziale” inviata nel maggio 2001 da Ratzinger a tutti i vescovi cattolici, nella quale si affermava che la Chiesa non intendeva rendere pubbliche le proprie indagini sui preti pedofili per un periodo di 10 anni dal momento in cui le vittime avessero raggiunto l’età adulta.

Essa prevedeva inoltre che i resoconti delle indagini preliminari su ogni singolo caso di abuso dovevano essere inviati all’ufficio di cui Ratzinger era a capo. Il quale si riservava l’opzione di riferirne a speciali tribunali “privati”, al cui interno le cariche di giudice, pubblico ministero, notaio e rappresentante legale venivano ricoperte esclusivamente da ecclesiastici. «Situazioni di questo tipo sono coperte dal segreto pontificio», concludeva la lettera del futuro papa.

L’infrazione del segreto in qualsiasi momento del periodo dei dieci anni di giurisdizione della Chiesa veniva intesa come una grave azione, perseguibile anche attraverso la scomunica. Una tesi confermata anche dal cardinal Bertone, cofirmatario della lettera ratzingeriana, che affermò: «Secondo il mio punto di vista, la richiesta secondo cui un vescovo debba essere obbligato a denunciare agli organi di polizia gli atti di pedofilia commessi da un prete è completamente infondata».

L’ordine impartito da Ratzinger e Bertone, che risulta ancora valido, era quindi di impedire ai legittimi organi investigativi di far luce: «Se si impone di mantenere il riserbo prima per diciotto anni poi per altri dieci – sottolinea l’avvoca ex seminarista Shea – i responsabili la faranno franca».

Per questo gli avvocati hanno chiesto l’imputazione di Ratzinger per avere posto ostacolo al normale corso della giustizia. Si imputa all’ex prefetto, inoltre, di aver deliberatamente allungato i tempi di “secretazione” delle indagini, per guadagnare vantaggio sui termini di prescrizione in vigore negli Stati Uniti. Non a caso lo stesso processo di Houston è civile e non penale, proprio perché in svolgimento oltre dieci anni dopo i fatti.

Il Vaticano non commenta. L’unica strategia di difesa è stata la richiesta ufficiale di immunità diplomatica per Benedetto XVI, appunto in quanto capo non della Chiesa ma dello Stato Vaticano. Nessun accenno anche all’ipotesi di un minimo risarcimento morale, che potrebbe essere il ritiro delle disposizioni contestate, che di fatto hanno salvato da una condanna penale oltre 4mila sacerdoti solo in America . Ma il punto è che tutta la politica di Ratzinger al Sant’Uffizio è stata improntata alla copertura dei crimini.

Questi episodi però non sono affatto isolati. Basti ricordare l’insabbiamento del caso di padre Maciel, fondatore dei ‘Legionari di Cristo’, accusato da ben otto ex discepoli di abusi sessuali. Nel 1998 il dossier sulla scrivania di Ratzinger fu praticamente sepolto e al vescovo messicano Talavera Ramirez, che chiedeva conto di questo comportamento, il prefetto rispose che «si tratta di materia molto delicata, dato che padre Maciel ha fatto molto per la Chiesa e in più è molto amico del papa».

Meno clemenza il Sant’Uffizio ha dimostrato nel caso di don Franco Barbero, sacerdote piemontese animatore di una comunità di base, favorevole al matrimonio dei preti e persino alle unioni gay. Per lui, naturalmente, la cacciata dalla Chiesa è stata immediata e inappellabile, senza neanche un’audizione dell’imputato.

Ecco il testo integrale tradotto dal latino dell’ordine impartito per iscritto da Ratzinger e Bertone:

«LETTERA inviata dalla Congregazione per la dottrina della fede ai vescovi di tutta la Chiesa cattolica e agli altri ordinari e prelati interessati, circa I DELITTI PIU’ GRAVI riservati alla medesima Congregazione per la dottrina della fede, 18 maggio 2001 Per l’applicazione della legge ecclesiastica, che all’art. 52 della Costituzione apostolica sulla curia romana dice: “[La Congregazione per la dottrina della fede] giudica i delitti contro la fede e i delitti più gravi commessi sia contro la morale sia nella celebrazione dei sacramenti, che vengano a essa segnalati e, all’occorrenza, procede a dichiarare o a infliggere le sanzioni canoniche a norma del diritto, sia comune che proprio”, era necessario prima di tutto definire il modo di procedere circa i delitti contro la fede: questo è stato fatto con le norme che vanno sotto il titolo di Regolamento per l’esame delle dottrine, ratificate e confermate dal sommo pontefice Giovanni Paolo II, con gli articoli 28-29 approvati insieme in forma specifica. Quasi nel medesimo tempo la Congregazione per la dottrina della fede con una Commissione costituita a tale scopo si applicava a un diligente studio dei canoni sui delitti, sia del Codice di diritto canonico sia del Codice dei canoni delle Chiese orientali, per determinare “i delitti più gravi sia contro la morale sia nella celebrazione dei sacramenti”, per perfezionare anche le norme processuali speciali nel procedere “a dichiarare o a infliggere le sanzioni canoniche”, poiché l’istruzione Crimen sollicitationis finora in vigore, edita dalla Suprema sacra Congregazione del Sant’Offizio il 16 marzo 1962, doveva essere riveduta dopo la promulgazione dei nuovi codici canonici. Dopo un attento esame dei pareri e svolte le opportune consultazioni, il lavoro della Commissione è finalmente giunto al termine; i padri della Congregazione per la dottrina della fede l’hanno esaminato più a fondo, sottoponendo al sommo pontefice le conclusioni circa la determinazione dei delitti più gravi e circa il modo di procedere nel dichiarare o nell’infliggere le sanzioni, ferma restando in ciò la competenza esclusiva della medesima Congregazione come Tribunale apostolico. Tutte queste cose sono state dal sommo pontefice approvate, confermate e promulgate con la lettera apostolica emanata come motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela. I delitti più gravi sia nella celebrazione dei sacramenti sia contro la morale, riservati alla Congregazione per la dottrina della fede, sono: – I delitti contro la santità dell’augustissimo sacramento e sacrificio dell’eucaristia, cioè: 1° l’asportazione o la conservazione a scopo sacrilego, o la profanazione delle specie consacrate: 2° l’attentata azione liturgica del sacrificio eucaristico o la simulazione della medesima; 3° la concelebrazione vietata del sacrificio eucaristico assieme a ministri di comunità ecclesiali, che non hanno la successione apostolica ne riconoscono la dignità sacramentale dell’ordinazione sacerdotale; 4° la consacrazione a scopo sacrilego di una materia senza l’altra nella celebrazione eucaristica, o anche di entrambe fuori della celebrazione eucaristica; – Delitti contro la santità del sacramento della penitenza, cioè: 1° l’assoluzione del complice nel peccato contro il sesto comandamento del Decalogo; 2° la sollecitazione, nell’atto o in occasione o con il pretesto della confessione, al peccato contro il sesto comandamento del Decalogo, se è finalizzata a peccare con il confessore stesso; 3° la violazione diretta del sigillo sacramentale; – Il delitto contro la morale, cioè: il delitto contro il sesto comandamento del Decalogo commesso da un chierico con un minore al di sotto dei 18 anni di età. Al Tribunale apostolico della Congregazione per la dottrina della fede sono riservati soltanto questi delitti, che sono sopra elencati con la propria definizione. Ogni volta che l’ordinario o il prelato avesse notizia almeno verosimile di un delitto riservato, dopo avere svolte un’indagine preliminare, la segnali alla Congregazione per la dottrina della fede, la quale, a meno che per le particolari circostanze non avocasse a sé la causa, comanda all’ordinario o al prelato, dettando opportune norme, di procedere a ulteriori accertamenti attraverso il proprio tribunale. Contro la sentenza di primo grado, sia da parte del reo o del suo patrono sia da parte del promotore di giustizia, resta validamente e unicamente soltanto il diritto di appello al supremo Tribunale della medesima Congregazione. Si deve notare che l’azione criminale circa i delitti riservati alla Congregazione per la dottrina della fede si estingue per prescrizione in dieci anni. La prescrizione decorre a norma del diritto universale e comune: ma in un delitto con un minore commesso da un chierico comincia a decorrere dal giorno in cui il minore ha compiuto il 18° anno di età. Nei tribunali costituiti presso gli ordinari o i prelati possono ricoprire validamente per tali cause l’ufficio di giudice, di promotore di giustizia, di notaio e di patrono soltanto dei sacerdoti. Quando l’istanza nel tribunale in qualunque modo è conclusa, tutti gli atti della causa siano trasmessi d’ufficio quanto prima alla Congregazione per la dottrina della fede. Tutti i tribunali della Chiesa latina e delle Chiese orientali cattoliche sono tenuti a osservare i canoni sui delitti e le pene come pure sul processo penale rispettivamente dell’uno e dell’altro Codice, assieme alle norme speciali che saranno date caso per caso dalla Congregazione per la dottrina della fede e da applicare in tutto. Le cause di questo genere sono soggette al segreto pontificio. Con la presente lettera, inviata per mandato del sommo pontefice a tutti i vescovi della Chiesa cattolica, ai superiori generali degli istituti religiosi clericali di diritto pontificio e delle società di vita apostolica clericali di diritto pontificio e agli altri ordinari e prelati interessati, si auspica che non solo siano evitati del tutto i delitti più gravi, ma soprattutto che, per la santità dei chierici e dei fedeli da procurarsi anche mediante necessarie sanzioni, da parte degli ordinari e dei prelati sia una sollecita cura pastorale. Roma, dalla sede della Congregazione per la dottrina della fede, 18 maggio 2001. Joseph card. Ratzinger, prefetto. Tarcisio Bertone, SDB, arc. em. di Vercelli, segretario»

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