ROMA – Lo chiamavano “prigioniero X” nel carcere di Tel Aviv, dove nessuno sapeva il suo nome, nemmeno le guardie. Era stato rinchiuso in una cella di 16 metri quadri, sorvegliato 24 ore al giorno e in isolamento totale. E proprio sotto lo sguardo costante e inclemente del suoi carcerieri il “prigioniero X” si è impiccato il 15 dicembre 2010. Il suo nome era Ben Zygier, ebreo di origini e passaporto australiano, agente del Mossad che si è ucciso. La notizia fu data dalla tv australiana, ma Israele impose la censura e solo ora i blogger ed i media stranieri riportano la sua storia che cela ancora molti misteri.
Il primo a dare la notizia del “prigioniero X” è Trevor Bormann, reporter australiano per l’Abc di Sydney, ricostruisce il Corriere della Sera:
“Quelle notizie erano il frutto di dieci mesi di indagini parallele del reporter Trevor Bormann: a essersi impiccato nella cella di isolamento totale di Ayalon era un agente del Mossad. Australiano di nascita e cresciuto in una famiglia ebrea ardentemente sionista. Si chiamava Ben Zygier, come sta inciso ora sulla lapide nera del cimitero ebraico di Melbourne, la città in cui era nato il 9 dicembre del 1976 e che aveva lasciato, neanche ventenne, per vivere in Israele la sua prima esperienza in un kibbutz in Galilea. Aveva fatto «aliyah», il ritorno alla terra promessa, ma non soltanto per servire la sua nuova patria nell’uniforme dell’esercito”.
“Sul suo impiego, in una società di copertura, con sede in Europa, per la vendita di componenti elettronici, aveva investigato nel 2009 un altro giornalista australiano a Gerusalemme, Jason Katsoukis, sempre respinto da «Mister X» quando lo cercò per chiarimenti. Forse a quel punto l’agente trasformista era già «bruciato». Forse aveva già parlato troppo, forse era sotto scacco dei servizi australiani, insospettiti dalla clonazione di documenti. Di fatto il 24 febbraio 2010 l’intelligence australiana riceve comunicazione dell’arresto di Ben Zygier, ma la notizia non viene trasmessa al ministero degli Esteri di Melbourne e tantomeno i motivi della sua cattura. «Accuse gravi», ammette uno dei suoi avvocati, Avigdor Feldman, che lo incontrò 24 ore prima del suicidio per valutare un patteggiamento con i giudici”.
Ma la stampa internazionale al suicidio non crede, spiega Il Giornale, proprio per quella sorveglianza costante e incessante. Un occhio vigile avrebbe potuto impedirgli di impiccarsi. E poi rimane l’interrogativo: perché scegliere di uccidersi e per quale reato così grave il prigioniero X meritava da 10 mesi il carcere, nell’isolamento di quella cella costruita per Yigal Amir, assassiÂno di Yitzhak Rabin:
“”È quasi impossibile non notare come il Prigioniero X sia stato arrestato pochi giorni dopo l’uccisione di un comandante militare di Hamas, Mahmoud Al Mabhou, in Dubai, a febbraio 2010. La polizia degli Emirati mise allo scoperto allora l’azione dei servizi israeliani, mostrando al mondo i passaporti usati dagli agenti tedeschi, britannici e australiani appunto. In quei giorni, l’Intelligence australiana stava indagando su Zygier, forse proÂprio sull’uso poco ortodosso dei suoi documenti di viaggio.
C’è chi si domanda ora se il PriÂgioniero X fosse colpevole di aver rivelato a Canberra l’utiliÂzÂzo che il Mossad faceva dei suoi passaporti, o addirittura di aver collaborato con la polizia degli Emirati (che nega).Per altri, raccontare all’Australia- alleato robusto d’Israele- quello che è già nei film di spionaggio, ovvero che le Intelligence mondiali pasticciano con i passaporti, non è certo quel «crimine grave» che avrebbe aperto al Prigioniero X le porte dell’isolamento”.