NEW YORK – Il miliardario americano Raj Rajaratnam, di origini cingalesi, è stato condannato a 11 anni di prigione per insider-trading. Si tratta della pena più alta comminata per un reato del genere e in più in generale riflette la volontà del Governo di reprimere più aspramente i reati commessi dai cosiddetti white collar, i colletti bianchi. La sentenza, emessa giovedì dalla Corte di Giustizia di New York, era molto attesa, specie negli ambienti finanziari. Il Wall Street Journal segnalava ieri (13 ottobre), alla vigilia del responso della giuria, come negli ultimi due anni fosse cresciuta la percentuale di condannati per insider trading per i quali si aprono le porte del carcere con pene sempre più significative.
Dal 2009 il 79% dei condannati non ha evitato il carcere, contro il 59% del 2000, mentre fra il 1993 e il 1999 erano meno del 40%. E’ naturalmente difficile comparare sentenze basate su fatti e circostanze ogni volta differenti, ma i dati confermano il ricorso alla prigione come massimo deterrente preferito dal Governo Obama per contrastare la proliferazione di illeciti a Wall Street. Le sentenze di condanna sono state corroborate, negli ultimi due anni, dall’uso massiccio di intercettazioni telefoniche, la cui autorizzazione era solitamente destinata prevalentemente ai reati di droga o terrorismo. Intercettazioni in grado di fornire riscontri ulteriori alle prove già raccolte dagli investigatori: in tribunale si sono visti i risultati, con le difese degli imputati impotenti di fronte all’evidenza delle accuse. Un percorso inverso all’uso delle intercettazioni in Italia, dove l’intercettazione telefonica costituisce troppo frequentemente il presupposto per l’avvio di un’azione penale che, nonostante il clamore suscitato presso l’opinione pubblica, una volta in tribunale raramente riesce a convincere la giuria.
Tornando a Rajaratnam, la condanna avrebbe potuto essere anche più severa. L’accusa aveva chiesto una pena fino a 24 anni di reclusione. Il telefono di Rajaratnam, capo dell’hedge fund Galleon, è stato tenuto sotto controllo per 9 mesi nel 2008. A suo modo un caso unico: si trattava della prima intercettazione autorizzata per un reato di insider trading. “D’ora in poi – commenta preoccupato David Siegal, un avvocato di Manhattan intervistato dal New York Times – a Wall Street saremo tutti più cauti nelle nostre conversazioni telefoniche”. I legali di Rajaratnam faranno sicuramente appello, attaccando la decisione del giudice di ammettere come prova i nastri registrati. Si aggrapperanno, fra le altre cose, alla circostanza che il Congresso non ha autorizzato l’uso delle intercettazioni per il reato di insider trading. La maggioranza degli avvocati interpellati ritiene, tuttavia, che una Corte d’Appello verosimilmente sarà orientata a mostrare grande rispetto e deferenza per il giudizio del tribunale su un’istanza, quella dei reati finanziari, molto avvertita nel paese in questa congiuntura.