Il villaggio ribelle di Wukan sfida lo stato cinese. Che indietreggia

La Cina, la più popolosa nazione del mondo, è governato da un regime monopartitico, uno degli ultimi partiti di ispirazione marxista a tenere le redini del potere nel ventunesimo secolo. Nel paese della dittatura del proletariato e del confucianesimo conformista il dissenso può essere visto, al meglio, come una mancanza di patriottismo, nel peggiore dei casi come un vero e proprio tradimento. Eppure in Cina, ogni anno, e con frequenza sempre maggiore, dei cittadini scendono in piazza e malgrado il pugno di ferro della polizia protestano contro la politica del partito centrale o contro i funzionari locali. Secondo delle stime non verificabili ogni anno in Cina ci sono più di centomila «incidenti di massa», così la burocrazia politico-poliziesca definisce le proteste non autorizzate.

A memoria di uomo, non si era ancora mai vista nella Cina comunista una protesta come del villaggio di Wukan. Gli abitanti di questa cittadina portuale di quasi 20000 abitanti, la cui economia ruota intorno all’industria ittica, hanno scacciato il 14 dicembre le istituzioni locali, la polizia ed i funzionari. Un confronto acceso era in atto a partire da settembre tra rappresentanti dei cittadini ed i membri del partito. Questi ultimi avevano ceduto la terra del villaggio (la terra in Cina appartiene allo stato che può darla in concessione ai privati) a degli imprenditori, ricavandone, secondo alcune fonti, diversi milioni di dollari. In cambio i cittadini di Wukan avrebbero però ricevuto solo una modica, insignificante, somma di denaro.

Malgrado laboriose trattative tra il partito e la cittadinanza, la situazione è precipitata quando la polizia è intervenuta nel villaggio, colpendo indiscriminatamente, anche donne e bambini, e sequestrando alcuni leader del movimento, uno dei quali è poi morto in carcere, a causa di un infarto secondo la polizia, a causa della brutalità delle sevizie secondo i famigliari che hanno potuto vedere il corpo. Scossi dalla violenza della reazione i cittadini di Wukan hanno allora attaccato le forze dell’ordine ed i funzionari locali (alcuni al potere da decenni) riuscendo ad espellerli dalla cittadina. E’ la prima volta che lo stato cinese indietreggia davanti ad una protesta sociale.

Il governo ha affermato che «punirà severamente» gli uomini che stanno guidando la sommossa. Dall’11 dicembre, giorno in cui stata scacciata, la polizia è accampata all’esterno del paese, dove ha istituito diversi blocchi stradali. Lo scopo è quello di sconfiggere la rivolta con l’arma dello sfinimento. A Wukan non possono più arrivare rifornimenti di cibo, di acqua o di altre materie prime, medicinali compresi. Accanto alla repressione, lo stato mette in moto anche la macchina della propaganda. Intorno al paese degli striscioni campeggiano invitando i cittadini al rispetto delle autorità: «Salvaguarda la stabilità contro l’anarchia. Sostieni il governo». Ma un’anonima mano è riuscita a scrivere vicino queste semplici parole: «Ridateci la nostra terra».

 

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fmontorsi