RAMNICU VALCEA (ROMANIA) – C’è un posto dove convergono gli hacker, i temuti “pirati informatici” (anche se questa traduzione è erronea). Questo posto ha delle coordinate precise e si trova in Romania.
In Europa l’epoca dei pirati – dai temibili vichinghi al leggendario Barbarossa – è da tempo finita, morta, sepolta dalle rotte commerciali e dalle marine militari. Se oggi le rotte del Mediterraneo sono sicure e nessun europeo rischia, come un tempo, di ritrovarsi un giorno prigioniero a Tunisi, i flutti di un altro grande mare sono invece il campo di nuove scorribande. Internet, il nuovo oceano globale dove navigano le merci e le persone, è il terreno di predoni a caccia di bottini.
Ma dove si incontrano gli hacker quando non fanno la guerra di corsa? Esiste, in altre parole, un’isola dei pirati moderni? Un pezzo di terra, sperso nel mare o dietro alte mura, che nasconde e protegge i nuovi predoni?
Per dare una risposta a questa domanda, bisogna dirigersi in Romania e più precisamente a Râmnicu Vâlcea, città di circa 100,000 abitanti situata ai piedi dei Carpazi, al centro del paese. Ad un primo sguardo nessuno indovinerebbe quale segreto nasconde la tranquilla e verdeggiante cittadina. Ma se il turista o l’investigatore indirizza i suoi passi verso il quartiere popolare Ostroveni, la città si presenta improvvisamente sotto un’altra luce. Tra i blocchi dei caseggiati popolari, costruiti durante l’era comunista, si sussegue una strana pletora di uffici della Western Union mentre macchine costose, guidate da giovani tra i 20 e 30 anni, sfrecciano nelle strade. Benvenuti nella tana dei pirati!
E’ in questa sede che la pirateria mondiale ha trovato un covo sicuro. Ogni anno grazie ai computer di «hackerville» – questo il recente soprannome di Râmnicu Vâlcea – milioni di dollari spariscono, pompati via da siti internet e da carte di credito. Gli hacker romeni hanno capito che la loro forza è l’unione e si sono dunque organizzati in gruppi solidali. In questo contesto quasi nessuno accetta di parlare con i giornalisti. Chi lo fa, racconta un sistema complesso e rodato.
Uno dei corsari racconta però il suo lavoro ad un giornalista di Le Monde : «Ci sono un sacco di idioti pronti a comprare qualsiasi cosa su Internet. Vendiamo prodotti inesistenti, cloniamo siti web e violiamo i codici delle carte di credito. In Europa, per riuscire ad avere i soldi liquidi, usiamo poi delle “mule” per ritirare i soldi che abbiamo prima spedito in altri conti. Loro si tengono il 30% del bottino e ci mandano il resto via Western Union.» Ecco spiegato il prospero commercio dell’azienda statunitense nelle stradine del quartiere.
In questa computeristica industria del furto, anche i più giovani sono chiamati a dare il loro contributo. «Siamo abituati a mettere persone tutta la notte davanti lo schermo – prosegue l’hacker di Ostroveni – Abbiamo preso dei ragazzini di 14 anni per aiutarci. Abbiamo perfino preso dei bambini dall’orfanotrofio per farli lavorare per noi». Lo stesso hacker continua poi, con una smorfia, a svelare i segreti del suo commercio. Se i pirati sono ad Hackerville, gli ammiragli di questa flotta romena, non abitano nel paese : «I cervelli, i pezzi grossi, si nascondono negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, Francia o Svizzera. Sono come dei fantasmi ricchi e clandestini. Non penso che saranno mai catturati».