Salvarono 44 naufraghi, pescatori tunisini rischiano carcere

Salvarono 44 migranti naufragati al largo di Lampedusa ed ora rischiano tre anni di carcere e 440 mila euro di multa. I protagonisti sono sette pescatori tunisini: l’accusa è favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

I fatti risalgono all’8 agosto del 2007, e la sentenza sarà emessa domani 17 novembre dalla Corte del Tribunale di Agrigento. Questo caso è stato giudicato come una criminalizzazione della solidarietà che mostra anche le contraddizioni tra il diritto internazionale e le leggi italiane. Da un lato ci sarebbe infatti la Convenzione SAR del 1979 che impone sempre e comunque il soccorso in mare e l’accompagnamento dei naufraghi in un luogo sicuro, dall’altro il Testo unico sull’immigrazione che prevede il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per chiunque porti in Italia dei migranti senza un visto d’ingresso.

L’agenzia giornalistica “Redattore Sociale” ha studiato gli atti del processo e si è recata a Teboulbah, in Tunisia, per incontrare il capitano sotto accusa e il proprietario dei pescherecci. Teboulbah è una città di mare di 30.000 abitanti: il suo porto è il secondo della Tunisia ed è il primo per la vendita di pesce azzurro. Qui sono ancorate almeno 700 barche, tra cui la Karim Allah e la Fakhreddin, le due navi che la mattina dell’8 agosto di due anni fa erano impegnate in una battuta di pesca insieme al Mortedha e al Mohamed el Hedi, i due pescherecci protagonisti del soccorso.

Il tipo di pesca praticato da questi pescherecci è detta in dialetto siciliano al “cianciolo” ed è praticata da tre barche: una grande nave madre, di una ventina di metri, un piccolo peschereccio e una barca senza motore con un generatore elettrico e dei fari a bordo. La luce serve ad attirare i pesci, di notte.

La nave più grande cala la rete da circuizione lungo una circonferenza larga anche mezzo miglio, aiutata dal piccolo peschereccio. Con un sistema di cavi, il fondo della rete si chiude a mo’ di tasca. Quando viene issata a bordo può contenere fino a 20 tonnellate di sardine, che vengono poi sistemate nelle celle frigorifero della nave madre. Il sospetto che i sette pescatori fossero scafisti nacque proprio per l’assenza di reti e di pesce a bordo delle due barche, ma l’intera area del porto di Teboulbah è dedicata alla pesca al cianciolo.

Da un lato sono ormeggiate le grandi navi, cariche di gigantesche reti e dotate di enormi celle frigorifero. E dall’altro sono allineati i piccoli pescherecci con a bordo nient’altro che un generatore elettrico, una grossa corda e dei potenti fari.

Ad aver introdotto la pesca al cianciolo sono stati i fratelli Nouira dieci anni fa. Oggi hanno un parco navi del valore di tre milioni di euro e sono loro i proprietari della Fakhreddine e della Karim Allah. Lofti è uno di loro, ha 48 anni e ne ha passati 35 in mare: quel giorno c’era anche lui in mare, al comando della Karim Allah. Abdelbaset Zenzeri invece, ha 38 anni e fa il pescatore dall’età di 18 ed è il capitano del Mortedha: il Redattore Sociale ha incontrato e intervistato quest’ultimo che racconta che quel giorno erano in mare da tre giorni. Il gommone dei migranti era semisgonfio e imbarcava acqua dato che il mare era forza 5 con onde di tre metri e vento forte da sud ovest: in 33 salirono sul Mortedha e in 11 sul Hedi. I comandanti lanciarono subito l’sos via radio e la decisione del salvataggio venne presa dall’armatore in persona, Lotfi Nouira: per i pescatori non era una novità vedere migranti in mare.

«Con il bel tempo – dice Zenzeri – se ne vedono ogni giorno. Ma un gruppo di naufraghi no, era la prima volta». Così, chiamarono subito la guardia costiera: la sua versione è confermata da una delle prove prodotte dagli avvocati della difesa. Si tratta di un fax inviato alle 15:15 dal Centro di coordinamento ricerche e soccorso in mare (Mrcc) di Tunisi all’Mrcc di Roma. Il messaggio, in inglese, informa che due motopescherecci tunisini avevano “salvato” 44 migranti e che uno dei naufraghi ha bisogno di assistenza medica con tanto di coordinate geografiche. I naufraghi e i pescherecci si trovano a 30 miglia al largo di Lampedusa e 90 da Teboulbah: dall’Italia arriva sul posto tre ore dopo  la corvetta Vega della Marina militare. Qui, il medico di bordo avvicina i due pescherecci su un gommone, ma senza salire a bordo e si limita a prendere in braccio il bambino disabile di nove anni, che si trova sul Hedi, non visitando la donna incinta al nono mese.

Successivamente, la nave Vega lascia la zona e affida i pescherecci a due motovedette della Guardia costiera e della Guardia di Finanza sopraggiunte nel frattempo. Secondo il racconto di Zenzeri, confermato da un naufrago sudanese ascoltato come testimone dalla Corte, gli uomini della Guardia costiera fecero cenno con le braccia di riprendere la rotta verso l’isola. Tuttavia, al momento dello sbarco i sette pescatori vennero arrestati e rimessi in libertà soltanto dopo un mese, con una sentenza del Tribunale del Riesame che arrivava dopo una manifestazione congiunta a Agrigento, Tunisi e Parigi, e dopo una petizione firmata da 106 euro-deputati.

Da allora i sette pescatori sono ancora disoccupati: le loro licenze sono sotto sequestro e le autorità tunisine non gliele hanno ancora rinnovate. E anche gli armatori stanno accusando grosse perdite. La società dei Nouira fattura 140.000 euro al mese, ma per sette mesi la produzione è dimezzata avendo i pescherecci bloccati a Lampedusa. Uno dei marinai, in preda al panico, ha anche tentato il suicidio. Il capitano Zenzeri si dice ancora sotto shock, fuma tre pacchetti di sigarette al giorno e gli stanno spuntando capelli bianchi dappertutto: non solo è senza lavoro, ma rischia anni di carcere ed ha tre bambini da far crescere. Essendo poi comproprietario del Mortedha, deve ancora finire di rimborsare il prestito che aveva fatto per l’acquisto e le rate scadono fra tre anni. Per ora i soldi glieli stanno anticipando, ma li dovrà rendere.

Nonostante tutto però, su una cosa Zenzeri non ha dubbi: se potesse tornare indietro, rifarebbe tutto allo stesso modo: è la legge del mare e la solidarietà non è mai un reato. Dello stesso parere ne sono convinti gli avvocati della difesa, che in caso di condanna, promettono battaglia, fino alla Corte Europea.

Published by
Lorenzo Briotti