Siria: spari sui manifestanti, più di 100 morti. Usa e Onu condannano: “Atroce violenza”

AMMAN – Le forze di sicurezza siriane hanno ucciso almeno 112 civili aprendo il fuoco ieri contro dimostranti pro-democrazia tra cui anche una bimba di quattro anni e un bambino di 12, secondo i siti di attivisti e dissidenti, che forniscono la lista completa dei ”martiri” e il luogo della loro uccisione.

Sul sito di Faceboook ‘Syrian.Revolution’, che conta quasi 130.000 utenti, l’ultimo messaggio caricato intorno alle 5:00 in Siria (le 4:00 in Italia) contiene la lista in arabo dei nomi e cognomi delle 112 persone uccise. E’ indicato anche il luogo della loro morte: 31 nei sobborghi della capitale, 30 persone soltanto ad Azraa, nei pressi di Daraa nel sud della Siria, tra cui un bambino di 12 anni (della cui uccisione circola un video su Youtube); 27 nella regione centrale di Homs, terza citta’ siriana a nord di Damasco; un giovane ucciso a Midan, nel cuore della capitale. Su Twitter, l’attivista SyrianJasmine segnala la stessa lista ma in inglese al link: http://bit.ly/gTgpp2. Mentre altri attivisti diffondono il link (http://bit.ly/gGwQHm) a un foglio Excel – caricato su Google Docs – con la lista completa e in inglese di nomi, cognomi e luogo del ”martirio” dei 381 siriani uccisi dal 18 marzo scorso.

Il venerdì islamico si è trasformato in un massacro di manifestanti in Siria nel corso delle proteste contro il regime. E il pesante bilancio pare destinato a salire. La Bbc, che cita testimoni oculari e attivisti, spiega che il maggior numero di morti si sarebbero registrati ad Azraa, vicino a Deraa, e a Douma, un sobborgo di Damasco. Circa duecento persone hanno manifestato nel centro di Damasco prima di essere disperse dalle forze dell’ordine, secondo alcune fonti anche con il ricorso a gas lacrimogeni. Oltre 5 mila persone hanno manifestato a Qamishli, quasi 10 mila a Deraa e a Baniyas.

Le manifestazioni erano state indette dagli oppositori alla fine della preghiera islamica del venerdì. Il regime si è limitato a dare la colpa della strage a “bande armate” a “salafiti”, mentre l’agenzia ufficiale Sana si è limitata a confermare che i poliziotti avrebbero usato gas lacrimogeni e idranti “per impedire gli scontri”. Non è servito a molto, quindi, la decisione di giovedì del presidente Bashar Assad di abrogare lo stato di emergenza che in Siria era in vigore ininterrottamente dal 1963. Infatti, nonostante questa misura, il regime aveva fatto arrestare 35 persone nel corso di una manifestazione all’università di Aleppo. Si stima che, a parte quelle odierne, siano oltre 200 le vittime dal 15 marzo, data d’inizio della proteste in Siria.

“Gli Stati Uniti condannano nella maniera più forte possibile l’uso della forza contro i dimostranti da parte del governo siriano. Questo atroce ricorso alla violenza per fermare la protesta deve finire subito”. Così il presidente degli Stati Uniti Barack Obama commenta le decine di vittime della giornata di ieri in Siria. La Casa Bianca ha chiesto al governo di Damasco di «cessare e di rinunciare all’uso della violenza nei confronti dei dimostranti» oltre ad attuare le riforme promesse. Simili i toni usati dal Segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, che ha condannato “la violenza ricorrente” del governo siriano. Ban Ki-Moon lancia un appello “perché questa violenza cessi immediatamente”, ha dichiarato il portavoce dell’Onu, Farhan Haq. Il governo del presidente Bashar al Assad “deve rispettare i diritti umani che comprendono la libertà di espressione e di manifestazioni pacifiche, come pure la libertà di stampa”. Il segretario generale dell’Onu ha ripetuto la sua richiesta “di un’indagine indipendente, trasparente ed efficace sulle ragioni dei massacri”, ha ancora indicato il portavoce.

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