BEIRUT – Era evidentemente in errore il regime di Damasco, se pensava che le riforme attuate o promesse e la brutale repressione delle manifestazioni che ha finora causato la morte di centinaia di persone avrebbero dissuaso i siriani dallo scendere anche oggi in strada: a decine di migliaia hanno marciato in tutto il Paese, scandendo ancora una volta: ”Il popolo vuole rovesciare il regime”. Ma ancora una volta, in molti ci hanno rimesso la vita, 48 in tutto il Paese secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani.
In serata, fonti dell’Unione europea hanno annunciato che e’ stato trovato l’accordo su un pacchetto di sanzioni contro Damasco, mentre la Casa Bianca ha annunciato sanzioni contro un fratelli di Assad, Maher e altri esponenti del regime. A Homs, secondo gli oppositori le forze di sicurezza hanno ucciso nove persone, mentre secondo il ministero degli interni tre poliziotti sono stati uccisi a colpi d’arma da fuoco.
E ancora, almeno 35 persone, secondo quanto hanno riferito diversi testimoni, sono state uccise dai proiettili delle forze di sicurezza che cercavano di disperdere migliaia di manifestanti a Daraa, la citta’ di 120 mila abitanti epicentro della rivolta, di cui e’ divenuta ormai il simbolo. L’esercito, ha dal canto suo affermato che quattro soldati sono stati uccisi e due rapiti da ”un gruppo terrorista”, nella stessa citta’. E proprio Daraa – di fatto posta sotto assedio sin da lunedi’ scorso dalla quarta divisione meccanizzata guidata da Maher el Assad – e’ stata la chiave delle manifestazioni di oggi.
Nell’esortare i siriani a partecipare ad un nuovo ”venerdi’ della collera”, gli attivisti avevano lanciato lo slogan: ‘In solidarieta’ con Daraa’, dove il 15 marzo tutto e’ cominciato, e dove da giorni sono state tagliate acqua, elettricita’ e telecomunicazioni, mentre all’obitorio sarebbero stati portati da lunedi’ 83 cadaveri, di cui molti di donne e bambini, secondo quanto ha detto Tamer al Jahamani, un importante avvocato della stessa citta’ costiera.
”Il presidente Bashar vuole fare a Daraa come fece suo padre Hafez ad Hama”, hanno detto in molti, ricordando la repressione con i carri armati, e persino con la forza aerea, della rivolta guidata nel 1982 dal movimento dei Fratelli Musulmani, che secondo varie stime causo’ la morte di oltre 10 mila persone. Il movimento dei Fratelli Musulmani, che e’ fuorilegge in Siria, e’ peraltro tornato oggi a farsi sentire, tramite un comunicato in cui rivolgendosi ai siriani ha esortato: ”Non lasciate che il regime ponga sotto assedio i vostri compatrioti, chiedete con una voce sola la liberta’ e la dignita’, non permettete al tiranno di ridurvi in schiavitu’, Dio e’ grande”.
Nelle decine di filmati video diffusi via internet dagli ”attivisti per la democrazia” siriani non c’e’ traccia di slogan islamici, ma ci sono certo molte immagini significative. Ad esempio, in molti si possono vedere foto o statue del presidente Bashar e anche di suo padre Hafez, abbattute, e prese a calci dai manifestanti. Un po’ come dopo la caduta del regime di Saddam Hussein nel 2003. Ci sono poi molte informazioni, diffuse soprattutto via Tweeter e difficilmente verificabili, che affermano di ”cecchini del regime appostati sui tetti”, o di bambini tra i manifestanti ”uccisi dai soldati”, di cui vengono pero’ citati nome e cognome. E poi si afferma che le manifestazioni ”hanno luogo in 50 citta’ e villaggi”.
Altre fonti piu’ autorevoli parlano comunque di oltre 34, tra cui Homs, Hama, Latakia, Banias e tante altre, compresa Damasco. Secondo il regime, si tratta pero’ di ”una campagna mediatica di istigazione senza precedenti contro la Siria, allo scopo di mettere in dubbio le intenzioni del Governo e capovolgere la realta’, incoraggiando azioni di violenza ed estendendo i disordini al maggior numero possibile di citta”’, come ha affermato il ministro degli esteri Walid Muallim. ”In tale situazione, era naturale che il governo adottasse le misure necessarie per preservare la sicurezza dei cittadini”, ha aggiunto Muallim, secondo cui l’esecutivo si e’ visto ”costretto a mettere in campo le proprie energie per rispondere all’appello dei cittadini a salvarli, e ristabilire l’ordine nel Paese”. Duecentocinquanta siriani dei villaggi al confine con la Turchia hanno pero’ oggi cercato di lasciare le zone di guerra e di riparare in territorio turco: le forze di sicurezza di Ankara hanno bloccato tutti, donne e bambini compresi.