BEIRUT – Gli ulema sunniti di una delle principali città della Siria sabato hanno pubblicamente sfidato il regime al potere da quasi mezzo secolo e si sono schierati a fianco dei manifestanti, mentre non si placa l’ondata di repressione da parte delle forze di sicurezza nel sud, nel centro e nella regione nord-occidentale del Paese dove si sono registrate altre violenze.
All’indomani dell’uccisione – secondo le organizzazioni umanitarie locali – di 37 civili, 30 dei quali caduti solo a Daraa, capoluogo della regione meridionale uno degli epicentri delle proteste senza precedenti in corso da metà marzo, le forze dell’ordine in divisa e in abiti civili hanno aperto nuovamente il fuoco contro manifestanti a Latakia, porto a nord-ovest di Damasco, ferendo un numero imprecisato di persone. Secondo testimoni oculari, ”bande di lealisti e agenti mascherati” (shabbiha) hanno sparato contro i residenti di Sleibe, sobborgo abitato in prevalenza da sunniti nel capoluogo della regione alawita da cui proviene la famiglia presidenziale.
Le forze di sicurezza e altre squadre di ”shabbiha” sarebbero intervenute oggi anche a Teldo, località nei pressi di Homs, a nord di Damasco, assediando il villaggio dove erano scese in strada migliaia di persone per manifestare contro il regime. Scenario analogo anche nel sud della Siria, dove l’esercito è impegnato accanto a reparti delle forze speciali a sedare le rivolte a Enkhel, Nawa e Jassem, vicino a Daraa.
Nel capoluogo dell’Hawran sono stati celebrati i funerali di alcuni ”martiri” uccisi ieri da non meglio precisati uomini armati. Secondo il ministero degli Interni, si tratta di ”bande di infiltrati pagati dall’estero, da entità ben note, per attentare alla stabilità e l’unità della nazione”. Per l’imam della principale moschea di Daraa, lo shaykh Ahmad as Siasina, quegli ”uomini armati non vengono dall’estero” ma ”sono agenti della sicurezza mascherati”.
Secondo l’imam sunnita, gli ospedali di Daraa avrebbero addirittura ricevuto istruzioni dalle autorità di Damasco di non ricevere i feriti. L’imam di Daraa non è l’unico rappresentante dell’islam sunnita – maggioritario nel Paese – a schierarsi apertamente a fianco dei manifestanti. Ventiquattro ulema di Homs hanno oggi firmato un appello indirizzato al presidente Bashar al Assad e in cui si chiede, tra l’altro, di ”abolire lo stato d’emergenza” in vigore da 48 anni e di ”metter fine all’aggressione della gente da parte delle forze di sicurezza”.
Da Damasco è giunta poi la notizia della rimozione dall’incarico del direttore di uno dei tre quotidiani di regime. Samira Musalima, a capo di Tishrin dal 2008, era da giorni la portavoce non ufficiale del potere siriano per il canale satellitare al Jazira. Durante l’intervista ieri, mentre da Daraa arrivavano le notizie di decine di morti, la Musalima ha ammesso che ”parte della responsabilita’ di quello che e’ accaduto a Daraa è da attribuire alle forze dell’ordine”.
Il direttore di Tishrin si era fatta promotrice nei giorni scorsi di un’inedita iniziativa, proponendo l’apertura di un ”dialogo nazionale” a partire dalle colonne del giornale e ”aperto a tutti”, anche agli intellettuali dissidenti. Intanto nella capitale da due giorni non si hanno più notizie di un reporter locale che collabora col sito Internet della tv panaraba al Arabiya, mentre un reporter algerino del quotidiano al Watan è stato respinto all’aeroporto di Damasco ed è segregato in un albergo vicino lo scalo internazionale in attesa di esser rimarcato sul primo volo per Algeri.