NEW YORK – Vent’anni dopo le atrocità commesse nella città bosniaca di Srebrenica rappresentano ancora una ferita aperta nella comunità internazionale. Lo dimostra lo stallo al Consiglio di sicurezza dell’Onu che mercoledì 8 luglio non è riuscito ad approvare una risoluzione di condanna che avrebbe definito “genocidio” il massacro di 8.372 uomini e bambini musulmani commesso dalle forze serbo-bosniache al comando del generale Ratko Mladic. Una tragedia ampiamente giudicata come la più grave carneficina in Europa sin dalla seconda guerra mondiale.
All’Onu la Russia si è messa per traverso e ha posto il veto. Il documento, messo a punto dalla Gran Bretagna, ha comunque ricevuto solo dieci voti a favore su 15. Quattro Paesi – Cina, Venezuela, Angola e Nigeria – si sono astenuti. La reazione americana (nonostante certe colpe degli americani in quegli anni) è stata durissima. L’ambasciatrice Samantha Power ha detto che il voto di Mosca equivale a negare il genocidio di migliaia di musulmani bosniaci da parte delle truppe serbo-bosniache.
Ma secondo Mosca il testo della risoluzione è sbagliato, come ha affermato l’ambasciatore russo all’Onu, Vitaly Chiurkin, che lo ha definito “non costruttivo, sbilanciato e con motivazioni politiche”. Così la pensano anche la Serbia e i serbo-bosniaci. E anche la cerimonia in programma sabato in Bosnia per commemorare il ventesimo anniversario del massacro sta suscitando tensioni.
Ci saranno numerosi leader internazionali e della regione, tra cui i presidenti di Croazia, Slovenia e Montenegro. Ma il presidente serbo Tomislav Nikolic ha fatto invece sapere che non ci sarà. Al suo posto andrà il premier Aleksandar Vucic. “Noi serbi siamo per la riconciliazione”, ha detto Vucic. Tuttavia, ha aggiunto “non accettiamo umiliazioni”, con un chiaro riferimento alla risoluzione Onu bloccata da Mosca. Ancora incerta anche la presenza dell’ex presidente americano Bill Clinton, la cui amministrazione mediò gli accordi di Dayton che nel 1995 misero fine alla guerra in Bosnia.
E mentre il generale Ratko Mladic è ancora in attesa di essere processato dal Tribunale penale internazionale dell’Aja per genocidio e crimini contro l’umanità, a distanza di vent’anni, le famiglie delle vittime ancora cercano le ossa dei loro cari tra i boschi della zona.
Il numero delle persone massacrate non è ancora definitivo. Oltre mille delle oltre 8mila vittime accertate ancora non hanno un nome. Nell’ultimo anno, grazie agli esami del Dna, sono stati identificati i resti di altre 136 persone. Sabato saranno sepolti nel cimitero mausoleo di Potocari, accanto ai sepolcri e alle steli funerarie di altre 6.241 persone massacrate dai serbo-bosniaci i meno di quattro giorni, a partire dall’11 luglio 1995, quando Srebrenica era ‘area protetta dell’Onu’.