L’accusa è di quelle che fanno accapponare la pelle: razzismo. A guardarla bene, però, c’è qualcosa che non torna. Il “razzista” infatti, sarebbe l’amministratore delegato del gruppo Vodafone Vittorio Colao e la sua colpa, quella di di destinare il 3,44% delle azioni di Vodacom, la società al 65% di Vodafone che è il primo operatore mobile in Sudafrica e ha attività anche in Tanzania, Lesotho, Congo, Mozambico, alla comunità di colore.
Una curiosa forma di “razzismo al contrario”, prevaricazione nei confronti dei bianchi. Non a caso l’accusa viene proprio da un movimento di estrema destra sudafricana, il Cape Independence Party che ne fa una questione costituzionale: «La nostra costituzione vieta ogni forma di discriminazione per razza, fede religiosa, abitudini sessuali – scrive il leader John Kerlen – E in questo senso la decisione di Vodacom appare assolutamente discriminatoria ».
Peccato, però, che la scelta di Colao, che preferisce non commentare, rientri proprio tra le norme previste dalla Bee (Black Economic Empowerment), la legge varata nel 1994, all’indomani della fine del regime di apartheid, secondo cui per poter operare in Sudafrica le aziende devono agevolare la partecipazione della comunità di colore alle attività economiche.