E non è proprio una sorpresa, perché i terroristi di Al Qaeda nella Penisola arabica non vanno sottovalutati. Proprio il precedente di Detroit ha mostrato il loro modus operandi. Nell’estate 2009 hanno testato l’ordigno in un attentato contro un principe saudita ed hanno capito che la bomba poteva superare i controlli. Alla vigilia di Natale ci hanno riprovato sul jet passeggeri americano beffando ancora metal detector e ispezioni.
La cellula qaedista yemenita composta anche da volontari sauditi, ha tre livelli – racconta il Corriere – . Il primo è quello spirituale. Lo incarna Anwar Al Awlaki, imam di origine yemenite nato nel New Mexico. È il catalizzatore per militanti occidentali, è l’ispiratore della propaganda, è una guida che sa ben mescolare le tematiche regionali con quelle internazionali. Sotto la sua guida agisce un altro americano che ha lanciato sul web una rivista in inglese, Inspire, prodiga di consigli per terroristi professionisti e i «fai-da-te». Il secondo livello è quello dei leader militari. Alcuni dei quali sono reduci della prigione di Guantánamo ed hanno una grande esperienza eversiva. Le operazioni sono dirette da Othman Al Ghamdi e dal vice emiro Said Al Shihri. Infine c’è la sezione tecnica: l’intelligence è convinta che nelle file del gruppo operino un paio di artificieri che stanno sviluppando ordigni «invisibili». I
n febbraio la fazione ha promesso altri attacchi sostenendo che aveva molte bombe a disposizione. Gli americani hanno aperto la caccia ad Al Awlaki fornendo aiuti allo Yemen e i terroristi hanno risposto tessendo una nuova trama.