TUNISI – “Sono due ragazzi”, gridavano al telefono i turisti sotto sequestro al museo Bardo, e due ragazzi davvero erano. Hatem Khachnaoui e Yassine Laabidi: tunisini, ventenni, uno in jeans e maglietta, l’altro con una tuta Adidas e una felpa.
Scarpe da ginnastica firmate, cappuccio sulla testa. Avevano uno smartphone: la prima foto circolata mercoledì, con gli ostaggi dentro il museo seduti a terra, l’ha fatta e messa su Twitter uno di loro. I siti diffondo la foto dei due quando sono ormai cadaveri.
No, i terroristi entrati a far strage di sconosciuti al museo di Tunisi non erano vestiti come soldati come si era detto in un primo momento. Almeno non tutti: i due che hanno sparato, uccisi dalla polizia, erano vestiti come turisti qualunque. Il giorno dopo la strage, 22 morti di cui due o forse 4 italiani, il primo ministro tunisino conferma il sospetto più cupo: Yassine era già noto per sospetto terrorismo, Hatem era stato in Iraq. La rivendicazione da parte dello Stato Islamico era stata immediata, già mercoledì, con tanto di pubblico plauso all’azione dei due “fratelli”.
Ma nella frammentaria galassia del jihadismo è difficile riconoscere L’Is, con i suoi miliziani addestrati e pronti ad azioni paramilitari, da sigle minori e improvvisate che per avere maggior riconoscimento sposano la causa del Califfato. Oggi abbiamo qualche elemento in più per ricondurre i due terroristi in sneakers e felpa all’Isis: Hatem Khachnaoui tre mesi fa era scomparso nel nulla. Poi dopo mesi aveva chiamato i familiari usando una scheda telefonica irachena. Hatem e Yassine sono quindi due “miliziani di ritorno”:addestrati dall’Isis, mandati sul campo in Iraq o Siria, e poi tornati indietro nel loro Paese. Molti fanno questo percorso e le autorità li tengono sott’occhio.
Ma il compito è difficilissimo: la Tunisia è una neonata democrazia, una lingua di terra tra Algeria e Libia, due Paesi ben più sensibili al richiamo jihadista. Chi subisce il fascino dell’Is parte dalla Tunisia e passa agevolmente i confini verso la Libia e da lì prosegue il viaggio. Hatem e Yassine non sono due improvvisati: erano armati di kalashnikov, hanno progettato un attentato in grande stile, avevano aiutanti e complici. Una rete criminale che parla chiaro: l’attentato, che abbia o meno il marchio “ufficiale” dell’Isis, è stato gestito da una rete terroristica potente e ben collaudata.