“Questo paese per la prima volta prende la strada della democrazia e voi europei dovete sostenerci”, nonostante la Tunisia abbia sfiorato la guerra civile, è palpabile l’entusiasmo di Ahmed Najib Chebbi, nuovo ministro dello Sviluppo, leader del partito progressista, un oppositore che ha collezionato condanne per 32 anni di carcere.
Mohammed Gannouchi, il nuovo presidente della Repubblica, premier fino a pochi giorni fa, promette che i prigionieri politici usciranno di prigione, che ci sarà libertà di informazione e per i partiti e anche un’inchiesta su chi si è arricchito con la corruzione. La lista dei nuovi ministri non esprime in realtà grandi cambiamenti: solo tre appartengono all’opposizione, sei sono del governo precedente e occupano posti chiave come Interni, Esteri, Difesa e Finanze.
Forse però non poteva essere diversamente: non si gira pagina da un giorno a un altro dopo 24 anni del dominio incontrastato di Ben Ali. Oggi il vecchio partito di regime vanta 2,5 milioni di iscritti, un tunisino su quattro. Non solo: fino a oggi il regime ha garantito posti di lavoro, soprattutto nella pubblica amministrazione, per molti.
Piacerà il nuovo esecutivo di transizione ai tunisini, fino a oggi sull’orlo dell’anarchia? Promette democrazia, ma l’ultima manifestazione a Tunisi è stata dispersa con lanci di lacrimogeni. Che piaccia o meno sarà comunque un’amministrazione a tempo: il governo ha il compito di traghettare il Paese a nuove elezioni, entro 6 mesi.
