NEW YORK – Una bufera si addensa sull’ aeronautica militare degli Stati Uniti: tra il 2004 e il 2008 ha gettato in una discarica in Virginia centinaia di resti non identificabili e inceneriti di almeno 274 soldati americani. Per la precisione si tratta 976 frammenti, secondo i dati ottenuti dal Washington Post dalla base di Dover dell’Air Force, in Delaware, dove in casse avvolte dalla bandiera americana vengono rimpatriate le salme dei militari Usa morti in Iraq o Afghanistan.
Ma non è tutto. Altri 1.762 simili resti sono stati raccolti nei campi di battaglia e gestiti allo stesso modo, dunque il totale supera il numero di 2.700, scrive il Post, che per primo un mese fa aveva portato a galla la vicenda, seppure in termini che erano apparsi ben piu’ contenuti. Il giornale precisa che si tratta di frammenti di militari dilaniati in esplosioni, e quindi carbonizzati o fortemente danneggiati, al punto da non poter essere sottoposti al test del dna.
Ovviamente, di questa ‘pratica’ le famiglie dei caduti non sono mai state messe al corrente. Al momento opportuno, hanno firmato un documento in cui affermano di non voler essere informate sull’eventuale nuova identificazione di altri resti dei loro cari, che autorizzano preventivamente le autorita’ militari a gestire, ”in maniera appropriata”. Il mese scorso fonti dell’aeronautica e del Pentagono avevano affermato che cercare di determinare quanti resti di militari siano finiti in discarica avrebbe richiesto una ricerca molto vasta, attraverso i dati di oltre 6.300 soldati registrati all’obitorio dal 2001. ”Sarebbe necessario uno sforzo massiccio e molto tempo per recuperare tutti i dati”, ha scritto Ann Rooney, vice sottosegretario alla difesa per l’organico, in una lettera al deputato Rush Holt che chiedeva spiegazioni.
”Ma che diavolo: spendiamo milioni, decine di milioni per trovare ogni traccia dei soldati uccisi e siamo preoccupati per uno sforzo massiccio per andare a cercare i dati e scoprire a quanti soldati sia stato mancato di rispetto in questo modo?”, ha affermato Holt in un’intervista, in cui indignato ha aggiunto che evidentemente ”non vogliono rispondere o cercare davvero”. Per quasi vent’anni ai giornalisti è stato impedito di assistere nella base di Dover al rientro delle salme dei militari uccisi in battaglia, in virtù di una decisione adottata nel 1991 dall’allora presidente George Bush (padre), ai tempi della prima guerra contro l’Iraq. Il divieto è poi stato revocato solo nel 2009, dal presidente Barack Obama. Nelle sue prime ammissioni, l’aeronautica ha detto di non sapere quando sia iniziato questo tipo di ‘smaltimento’, sostenendo di avere dati in merito solo a partire dal 2003 e che dal 2008 si è pensato di cambiare sistema. Da allora, le parti non identificate vengono cremate e le ceneri disperse in mare.
Ma arrivare a questo non deve essere stato facile. Il Post riferisce della vicenda di Gary Linn Smith, vedova di un sergente ucciso in Iraq nel 2006. Dall’anno successivo ha iniziato a chiedere informazioni su alcuni resti di suo marito identificati dopo che il funerale era già stato celebrato. Dopo quattro anni, di lettere, telefonate e richieste di dati, ha infine ottenuto lo scorso aprile una lettera dall’obitorio in cui la si informava che resti di questo tipo vengono cremati, inceneriti e deposti nella discarica King George in Virginia. ”Spero che questa informazione le sia di conforto nel momento della sua perdita”, era scritto in fondo alla lettera, firmata da Tevor Dean, allora direttore dell’obitorio dell’ aeronautica, ora alle prese con un’azione disciplinare per l’intera vicenda.