È rimasta in coma per nove mesi, ha rischiato di morire e poi, alla fine ce l’ha fatta, anche se a carissimo prezzo. Tutto per un hamburger identico a quelli che gli americani mangiano a milioni ogni giorno. Stephanie Smith, 22 anni, prima di quel barbecue maledetto era un’insegnante di danza. Ora non potrà più camminare e passa lunghe ore del giorno a fare fisioterapia pagata, come acconto sul risarcimento, dalla Cargill, la società che le ha venduto la “polpetta avvelenata”.
La storia di Sthepanie negli Usa è diventata un caso soprattutto dopo che il New York Times l’ha raccontata in dettaglio e ne ha preso spunto per farne un’inchiesta sulla qualità e i metodi di lavorazione della carne negli Usa. E i risultati sono da brivido: carne di provenienza incerta, scarti venduti come prodotti di prima qualità, carcasse di animali non sottoposte ai trattamenti igienici previsti dalla legge e soprattutto pochissimi controlli.
Il giorno in cui Stephanie si sentì male, la partita di carne (400 quintali) intossicò in modo più leggero quasi mille persone. A Stephanie, invece, andò malissimo: nell’hamburger c’era il batterio dell’escherichia coli. L’insegnante si sentì male subito, inizio ad avere sangue nelle feci. Quindi il ricovero e il coma.
Adesso sta meglio, ma, per un hamburger, la ragazza non può più danzare.