Waziristan: l’ultima frontiera

Il Waziristan è un posto complicato. È il minimo che si possa dire per questa regione dell’Asia centrale, cerniera tra Afghanistan e Pakistan, nominalmente sotto il regime di Islamabad ma di fatto terra senza legge e dominata dalle tribù.

Territorio di fierezza e di rapina, mai veramente colonizzato, né dall’imperialismo inglese né dai governi pakistani, ancora oggi il Waziristan è la roccaforte dei talebani. Più che in Afghanistan, dove gli sforzi della Nato, sebbene vani e mal coordinati, hanno creato una vera offensiva, qui i barbuti studenti di Dio hanno trovato un rifugio ed una base logistica. Insieme a certe zone della Somalia e dello Yemen questo è il peggiore posto al mondo per essere un occidentale.

Per i terroristi questo spicchio di terra ha un fascino irresistibile, un’esacerbata indipendenza. Nessuno, in quasi due secoli di dominazione, ha mai strappato il Waziristan alla sua storia immobile, alle sue secolari tradizioni, alle sue leggi tribali non scritte e tremendamente efficaci nella loro cruda applicazione. Lord Cuzon, viceré inglese disse, dopo diversi anni di dominazione inglese, che la zona sarebbe stata pacificata solo una volta che tutto fosse stato raso al suolo con un rullo compressore.

La guerra che si combatte in questo remoto angolo di mondo rimanda l’osservatore a quel pezzo di storia che cronisti e storici hanno chiamato il Grande Gioco, la strategica battaglia tra Inghilterra e Russia per la conquista di quell’immenso spazio che correva dai confini dell’impero dello zar a quelli dell’impero della regina. Una storia fatta di spie, intrighi, avventurieri e fanatici. Proprio come oggi.

In effetti, il Waziristan ha spesso avuto negli eventi di questa regione un ruolo sproporzionato rispetto alla sua dimensione territoriale. Nonostante il loro isolamento, le tribù Meshud che qui comandavano prima dell’arrivo dei talebani dall’Afghanistan, hanno più volte avuto nelle loro mani le chiavi dei destini di Kabul, Delhi, o altri luoghi strategici. Oggi, la sconfitta definitiva dei Talebani e il successo della politica americana e atlantica passa da queste montagne isolate.

Dai tempi della guerra contro i sovietici, quando americani sauditi e pakistani facevano a gara per armare i mujaheddin, la regione è andata incontro ad un processo di talebanizzazione. Dal 2001 la situazione si è aggravata con un numero sempre maggiore di militanti islamici profughi. Nelle strade delle città, nei bazar affollati, si sono cominciati a sentire lingue straniere, a vedere forestieri, uzbechi in primo luogo, ma anche tutte le nazionalità della galassia qaedista. E dire che in fondo le leggi non scritte del Waziristan, nonostante la loro arcaicità, avevano fino ad allora funzionato.

Il sistema di prescrizioni e costumi, basato su secoli di tradizione, garantiva stabilità politica e limitava la criminalità (diversamente da quanto è accaduto in Afghanistan, dove con l’arrivo della Nato la produzioni di oppiacei, praticamente sradicata durante il regime i talebani, è improvvisamente decuplicata). Con l’arrivo dei combattenti islamici, la situazione è cambiata. Nel Waziristan, insieme ai militanti islamici stranieri, ha preso le redini del comando una nuova classe dirigente proiettata al potere dalla lotta antioccidentale.

Per la prima volta, il Pakistan cerca oggi di imporre la sua legge nella zona. E i risultati si vedono. Dopo tre mesi di scontri, una forza di duecentomila soldati pakistani è riuscita a riconquistare una buona parte della zona meridionale, un tempo governata senza contrasto dai talebani.

Dopo secoli di isolamento, di feroce e fiera resistenza a tutti gli stranieri le tribù Mehsud di queste zone saranno infine poste sotto il controllo di un governo centrale. La guerra condotta in Afghanistan dagli americani trarrà benefici ovvi dal nuovo assetto geopolitico. Le giovani generazioni mehsud cresciute sotto l’oscurantismo e la mano di ferro islamista scopriranno i vantaggi di una relativa apertura. Forse, però, tra anni, decenni, quando l’Afghanistan non sarà più infiammato dalla guerra si guarderà con rimpianto a queste tribù mehsud che per anni, con la loro indomita fierezza hanno resistito a tutti gli invasori. Forse, quando la corruzione endemica del Pakistan avrà invaso anche questo ultimo angolo abbandonato dalla politica dello stato-nazione, si rimpiangeranno i tribunali dei vecchi che per secoli, nella loro rude arcaicità, hanno retto l’ordine in questo pezzo di mondo.


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fmontorsi