Wikileaks, Caracas: “Da Scaroni ultimatum sulla concessione dell’Orinoco”. Ma l’Eni smentisce

L'ad di Eni Paolo Scaroni

”Si tratta di prendere o lasciare, io posso prendere il mio aereo e andarmene”. L’ultimatum, lanciato dall’ad di Eni, Paolo Scaroni, lo scorso gennaio al ministro dell’energia venezuelano Rafael Ramirez, riguardava una concessione nella frangia dell’Orinoco. Lo ha riferito l’ambasciatore italiano Luigi Maccotta ai diplomatici Usa in Venezuela secondo i cablogrammi dell’ambasciata Usa di Caracas ottenuti da Wikileaks e pubblicati da El Pais.

Il governo venezuelano aveva rifiutato di cambiare il contratto come chiedeva Eni ma, mezz’ora prima dell’inizio della cerimonia di firma, è arrivata l’affermazione di Scaroni. Così il presidente venezuelano Hugo Chavez ha accettato di firmare alle nuove condizioni per non perdere l’investimento dell’azienda italiana, a cui deve ancora un miliardo di euro.

Lo scenario che emerge dai ‘cable’ americani, inoltre, è che il governo venezuelano manipola i prezzi del greggio, gonfia la produzione e accetta ultimatum su alcuni contratti – anche dall’Eni – per di ricevere investimenti stranieri.

A quanto si legge nei documenti, i funzionari Usa hanno preso dalle liste di attesa per i visti per gli Stati Uniti i nominativi dei dirigenti della compagnia petrolifera nazionale Pdvsa, risparmiando loro la lunga attesa in cambio di informazioni sensibili. Dalle conversazioni è emerso che la produzione è gonfiata (grazie a operazioni di esportazione e importazione) e l’ambasciata Usa ha dedotto che il Venezuela non produceva, nel 2009, 3,3 milioni di barili al giorno, bensì 2,3 milioni.

Anche la cesta del petrolio venezuelana sarebbe stata ”manipolata” includendo prodotti raffinati, per fare sì che la differenza tra la quotazione del barile venezuelano e quella del Wti statunitense di alta qualità si riducesse da 13 a 5 dollari in un anno. Ingenti capitali venezuelani si perdono poi per via dello scarso controllo di qualità sui prodotti petroliferi, che costringe a rimborsi, e in contratti di vendita svantaggiosi per il Paese. La Cina per esempio paga in pratica 5 dollari al barile per il greggio venezuelano che, secondo i diplomatici Usa, viene poi rivenduto a terzi con enormi guadagni.

La replica di Eni. Immediata la replica del colosso energetico italiano: ”I fatti e le conclusioni riportate nel cable descritto da Wikileaks relativamente al Venezuela sono falsi e destituiti di ogni fondamento. L’incontro con le relative richieste tra il ministro del petrolio venezuelano Ramirez e l’amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, non si è mai verificato”. A diffondere il comunicato il portavoce dell’Eni, Gianni di Giovanni.

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Maria Elena Perrero