Wikileaks: Julian Assange, ex hacker che ora diffonde le “verità nascoste”

Julian Assange, fondatore di Wikileaks

Da hacker a paladino delle “verità insabbiate”: è questa la parabola di Julian Assange, fondatore di Wikileaks, il sito specializzato in Intelligence che ha consegnato a tre quotidiani (New York Times, Guardian e Spiegel) 92 mila documenti riservati sulle operazione militari statunitensi in Afghanistan. Nella storia del giornalismo d’inchiesta è un punto di non ritorno: il vituperato mondo dei blogger e della miriade di siti indipendenti “informa” i grandi quotidiani. Se andrà bene sarà l’inizio di una interazione proficua tra media innovativi e i consolidati strumenti di approfondimento dei media tradizionali.

Adesso questo trentanovenne australiano è finito sulle prime pagina di tutto il mondo: fino ad ora lo scoop più “succoso” rivelato sul suo sito era stato quello pubblicato ad aprile, con un filmato che mostrava l’attacco di un elicottero Apache a Baghdad nel 2007, in cui una decina di civili e un fotografo della agenzia Reuters erano rimasti uccisi.

Assange ha un passato da hacker: alla fine degli anni ’80, con il nome in codice “Mendax”, ha fondato un’organizzazione chiamata “International Subversive”. L’informatica era sempre stata un suo “chiodo fisso”, tanto che il giovane australiano aveva “craccato” il suo primo programma addirittura su un “preistorico” Commodore 64.

Ma la polizia si è presto accorta di lui, e nei primi anni Novanta Assange è finito in manette con l’accusa di essersi infiltrato nella rete di computer di una grossa società di telecomunicazioni canadese. Assange, tuttavia, è riuscito ad evitare la galera grazie a una sentenza favorevole (rischiava 10 anni).

Dopo una laurea in fisica, nel 2006 Assange fondò WikiLeakes e “battezzò” la sua creazione con parole di fuoco: “I nostri bersagli principali sono i regimi oppressivi come la Cina, la Russia, e dell’Asia Centrale. Ma ci aspettiamo di essere d’aiuto anche per chi in Occidente vorrebbe che fossero denunciati comportamenti illegali e immorali dei governi e delle grandi società”.

Wikileaks ha conosciuto anche tempi “bui”, ma ne è uscito bene grazie all’iperattivismo del suo “papà”. A maggio, racconta Assange oggi, la situazione economica era diventata “insostenibile” e lui riuscì a reperire fondi con una metodologia tipicamente da hacker: rimaneva fino a notte fonda su Skype a chattare con gli altri componenti della comunità virtuale per convincerli a finanziare il suo progetto.

Dopo la diffusione degli ultimi documenti sull’Afghanistan, la Casa Bianca con un comunicato stampa ha condannato WikiLeaks ricordandone l’agenda ai media americani e del resto del mondo: “Ricordatevi che WikiLeaks non è un fornitore oggettivo di notizie, ma piuttosto un’organizzazione che si oppone alla politica americana in Afghanistan”.

E Assange è stato il primo a convalidare questa tesi: “Nonostante le sue dichiarazioni sul giornalismo scientifico, Assange mi ha chiaramente detto che la sua missione è di portare alla luce le ingiustizie, non raccontare storie in modo imparziale”, ha scritto il giornalista Rakki Khatchadourian in un profilo sul New Yorker. In un’intervista al Der Spiegel, Assange ha affermato che il suo scopo, con la diffusione dei dossier sull’Afghanistan, era richiamare l’attenzione “sulla brutalità e lo squallore delle guerra. Questo archivio cambierà l’opinione pubblica e il modo di vedere le cose delle persone che ricoprono ruoli politici e diplomatici influenti”.

Published by
Alberto Francavilla