WikiLeaks, Assange a processo, il verdetto atteso per il 24 febbraio

Julian Assange

LONDRA – ”Se la Svezia decide che succhiare gli alluci senza prima essersi lavati i piedi è stupro, allora noi diciamo che è stupro? Certo che no”. Alla Belmarsh Court di Londra, oggi è stata giornata di arringhe. E Geoffrey Robertson, il ‘frontman’ del team legale di Julian Assange, non si è risparmiato quando è venuto il momento di sfoderare frasi a effetto. Ma non c’è stato niente da fare: niente verdetto.

Il giudice Howard Riddle ha infatti deciso di pensarci su per bene. La sentenza verrà dunque emessa il prossimo 24 febbraio. Sino ad allora il capo di WikiLeaks resta in libertà vigilata presso la magione del Norfolk dove risiede ormai dallo scorso dicembre. La giornata, detto questo, s’è subito aperta con un bel colpo di scena.

Robertson ha infatti chiesto un rinvio del processo per poter portare in aula le ”prove” del pregiudizio svedese nei confronti di Assange, ovvero le recenti dichiarazioni del premier Fredrik Reinfeldt. Che ha detta del team legale dell’australiano avrebbero creato ”un’atmosfera tossica” nella quale Assange va a costituire il ruolo di ”nemico pubblico numero uno”. Richiesta però respinta dal giudice. ”Dobbiamo concludere”, ha detto Riddle.

Accusa e difesa a quel punto si sono sfidate a colpi di codici, cavilli ed espressioni piccanti. L’obiettivo, ovviamente, era quello di smontare o screditare le tesi dell’avversario.

Clare Montgomery, l’esperto legale britannico in casi di estradizione (ha rappresentato clienti del calibro di Augusto Pinochet e il governo USA), che veste i panni dell’accusa per conto dei procuratori svedesi, ha dunque sostenuto che gli investigatori abbiano in effetti cercato d’interrogare Assange, senza riuscirci, ”quando ancora si trovava in Svezia”, che il pm Marianne Ny ha spiccato il mandato d’accusa con la chiara intenzione di perseguirlo legalmente, e non solo interrogarlo, e che il crimine per cui è accusato in Svezia deve essere considerato come tale anche qui. ”Se la Svezia dice che si tratta di stupro è stupro”, ha detto la Montgomery, codice penale alla mano.

Robertson, dal canto suo, ha battuto il tasto dell’ingiusto processo, puntando il dito ancora una volta sulle procedure svedesi, che prevedono di celebrare i processi di stupro a porte chiuse. Poi, scendendo nei particolari, ha sottolineato come dai rapporti di polizia si evinca che Miss A, una delle donne che hanno denunciato Assange, non abbia in realtà ”mai detto no”. Che l’abbia pensato è un altro paio di maniche. ”Lo si accusa poi di aver usato il peso del suo corpo per esercitare coercizione”, ha chiosato Robertson. ”Si chiama posizione del missionario”. Annotazione che ha suscitato gli strali delle Montgomery.

”Non è appropriato sminuire in questo modo accuse di violenza sessuale”, ha tuonato. ”E comunque in questo processo non dobbiamo entrare nel merito delle accuse”. A Belmarsh, insomma, si deve, o si dovrebbe, stabilire solo se estradare o meno Assange in Svezia. Se sia colpevole o meno, non sara’ un tribunale britannico a deciderlo.

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Published by
Maria Elena Perrero