ROMA – L’articolo 18 (più in generale le norme sui licenziamenti) non si applica ai dipendenti pubblici, sostiene il ministro Fornero, rassicurando sindacati e l’esercito di statali. Ma è davvero così? Secondo la giurisprudenza in vigore non è così semplice, visto che la Corte di Cassazione (il livello più alto di somministrazione delle sentenze) ha più volte stabilito che lo Statuto dei lavoratori si applica anche al settore pubblico. Il Testo unico del 2001 ha sancito la parità con il settore privato, peraltro dopo che nel ’93 era stata stabilita la natura di tipo privato del contratto con la pubblica amministrazione. Questa parificazione era servita come misura più favorevole al dipendente pubblico nei casi di risarcimento rispetto a un danno subito. Il Testo Unico ha fatto di più: ha recepito integralmente la legge 300 del 1970, ossia lo Statuto dei Lavoratori, in cui, ovviamente è compreso l’articolo 18.
Un boomerang, ora che la nuova normativa sui licenziamenti impatta anche sul pubblico? In effetti sì: ora che l’articolo 18 è cambiato, non è che si può dire, senza provocare vulnus giuridici, che lo Statuto non si applica più ai dipendenti pubblici. Serve una norma ” che tenga conto della specificità del lavoro nella pubblica amministrazione”, hanno pensato al ministero della Funzione Pubblica diretto da Filippo Patroni Griffi. I sindacati esigono una deroga che chiarisca bene la cosa. Che chiarisca che se anche un comparto pubblico necessita di una ristrutturazione, di un ridimensionamento, quindi decide, poniamo, di liberarsi di personale in esubero, comunque lì l’articolo 18 riformato (indennizzo invece che reintegro per il licenziamento) non vale. Ma la deroga infrangerebbe il principio di uguaglianza fra cittadini come sancito dall’art. 3 della Costituzione. E se fosse giudicata illegittima rispetto alla Costituzione, potrebbe pregiudicare l’applicazione delle modifiche anche nel settore privato. Un vero pasticcio giuridico.