ROMA – Articolo 18 horror. Reintegrati: ubriaco fisso, rapinatore, finto malato… Sorpresi chi a fare il doppio lavoro mentre ufficialmente è in malattia, chi le rapine, chi a mostrare i genitali ai colleghi, chi a ubriacarsi regolarmente in orario d’ufficio, sono stati tutti licenziati, com’era prevedibile, ma poi riassunti per ordine di un giudice. La lista degli orrori che discendono da un’applicazione arbitraria dell’articolo 18 è lunga. Parliamo del reintegro nei licenziamenti senza giusta causa, motivo di scontro politico dopo la riforma che sostituisce con l’indennizzo economico la forzata reintegra sul posto di lavoro.
Sergio Rizzo sul Corriere della Sera ha raccolto un florilegio dei casi più eclatanti, a partire dalle sentenze. Per esempio il lavoratore alcolista cronico conclamato, un caso di scuola tanto da meritarsi il titolo di “sentenza dell’ubriaco fisso”. Non andava a lavorare, non avvertiva delle sue assenze: licenziato e poi reintegrato dal giudice. Questa la motivazione: “l’assenza dal servizio e l’inosservanza dell’obbligo di comunicazione non possono costituire giustificato motivo soggettivo di licenziamento quando son dovute non già a stati di ubriachezza, bensì a un danno cerebrale costituente l’esito della prolungata assunzione dell’alcol e dei suoi effetti”.
Ha trovato un giudice compiacente anche l’infermiere licenziato per aver picchiato un paziente: “si è trattato di un fatto isolato ed eccezionale in relazione a un paziente particolare […] aver perso per una volta il controllo delle proprie azioni non può giustificare quella che rimane un’estrema ratio”.
Trova giustificazioni cinefile la motivazione con cui un giudice ha reintegrato (con pagamento di tutti gli arretrati) il vigile del fuoco che arrotondava facendo rapine in banca. Citazione da Rapina a mano armata di Kubrick (parla il protagonista Sterling Hayden): “Vedi, nessuno di loro è un vero e proprio criminale, hanno tutti un lavoro e apparentemente conducono una vita normale, ma hanno i loro problemi”. Che c’entra Kubrick nella sentenza? Secondo il giudice, era “vergognoso rovinare prima di una condanna una persona e la sua famiglia per una sostanziale esigenza di immagine, di apparenza dell’istituzione, in assenza di un concreto pericolo in ambiente lavorativo e nella società…”
A volte neanche assentarsi per malattia e approfittarne per svolgere un secondo lavoro può garantire la reintegra. Si può leggere la sentenza di un pretore di Viareggio: “È illegittimo il licenziamento intimato al lavoratore che, in costanza di malattia, ha svolto attività lavorativa ma nessun danno ha arrecato al datore di lavoro, in quanto la suddetta malattia richiedeva oltre che le cure anche la necessità del lavoratore di vivere con familiari e amici e di trovare interesse nell’ambiente esterno, cosicché l’attività svolta era compatibile con lo stato di malattia la cui guarigione non solo non è stata ritardata, ma è stata anche accelerata”.