ROMA – Art. 18. Motivi disciplinari: giudice a Ravenna reintegra. Il reintegro sul posto di lavoro in caso di illegittimo licenziamento per motivi disciplinari avrà meno ostacoli del previsto. Un’ordinanza del Tribunale di Ravenna interpreta la Riforma Fornero (in particolare dell’articolo 18) in senso più favorevole per il dipendente: l’accertamento dell’illecito disciplinare non comporta per forza il licenziamento.
Vediamo di chiarire il difficile linguaggio giuridico con l’esempio concreto oggetto della sentenza di Ravenna. Un addetto alle pulizie di una impresa industriale è stato accusato di aver sottratto un paio di scarpe anti-infortunistiche e di averle solo successivamente e di nascosto riconsegnate a un’addetta dell’impresa appaltatrice.
Ora, il fatto in sé è stato stabilito essere accaduto veramente. La legge, appena riformata dal governo Monti, in proposito stabilisce che il licenziamento per ingiusta causa va risarcito con la reintegra solo nei casi in cui il fatto non sussiste o in presenza di clausole sanzionatorie già previste dagli accordi sindacali (tipizzazioni).
Non sarebbe questo il caso, dunque: ma il giudice ha ugualmente optato per il mantenimento al posto di lavoro perché, in ogni caso, va rispettato il principio della proporzionalità (tra l’azione causa del licenziamento disciplinare e il diritto alla reintegrazione al lavoro). Insomma, viste anche precedenti sentenze di segno opposto (a Bologna per esempio), resta l’arbitrarietà davanti ai giudici dei verdetti in queste cause di lavoro.
Proprio su questo punto il disegno di legge fu il palcoscenico di stop and go, annunci e ritiri: in una prima versione del disegno, prima modificato poi reintrodotto ma senza firma dei partiti, nell’articolo 18 riformato si leggeva:
Al comma 1, lettera b), capoverso quarto comma, sostituire le parole: «sulla base delle previsioni della legge, dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili» con le seguenti: «sulla base delle tipizzazioni di giustificato motivo soggettivo e di giusta causa previste dai contratti collettivi applicabili».
Era giusto quella frase, “sulla base delle previsioni di legge”, a indurre il sospetto (delle imprese) che in Tribunale il giudice avrebbe potuto far valere altre fonti di diritto (il principio di proporzionalità) magari prevalenti rispetto alla mera questione giuslavorativa.