ROMA – Le banche spagnole, le elezioni in Grecia e la recessione: tre placche da domino, per ora in piedi, che potrebbero cadere l’una sull’altra e sgretolare l’Europa che fatica a stare in equilibrio.
Se l’accordo dell’Eurogruppo per aiutare le banche spagnole ha chiuso un capitolo, ne ha anche aperto un altro: chi sarà il prossimo? Nella lista dei paesi alla voce “timori debito pubblico”  l’Italia è in testa. Eppure per ora, da Bruxells, nonostante le Borse in affanno e lo spread che che sfiora quota i 500, si cerca di rassicurare sugli effetti del nuovo paracadute iberico e si smentisce ogni piano per prepararsi all’uscita della Grecia dall’euro: ”E’ un buon risultato non solo per la Spagna, ma per tutta l’Europa” e ”porta benefici anche all’Italia”.
C’è poi il voto di giugno ad Atene che potrebbe segnare l’addio all’euro e il ritorno della dracma, e il prezzo da pagare sarebbe altissimo per i greci e per tutta l’eurozona. Come aveva fatto notare anche il Wall Street Journal, due anni e tre salvataggi dopo, l’Europa è in recessione e il contagio si è allargato alla Spagna. E si avvicina all’Italia”.
Un completo salvataggio della Spagna sarebbe un cataclisma per l’Europa? Gli occhi per ora sono puntati sulla prima minaccia, che è quella del voto greco.
Come ha allertato Moody’s l’uscita della Grecia dalla zona euro ”potrebbe portare a una revisione diu tutti i rating sovrani dell’area euro, inclusi i paesi con la tripla A”, fra questi la Germania e la Francia.
I nodi da sciogliere sono tanti, le mine da disinnescare sono per adesso tre e l’Ue deve fare in tempo prima che il male dell’Europa in crisi diventi un tumore in metastasi per tutti i Paesi. L’intesa sulla Spagna, strappata sabato sera dopo un lungo braccio di ferro all’Eurogruppo, lascia uno strascico di dubbi in particolare sulle modalita’ e le condizioni, non ancora chiarite. Secondo i termini sottoscritti, i prestiti verranno elargiti dal Fondo salva-stati Efsf e Esm (che lo dovrebbe sostituire dal prossimo primo luglio). I paesi molto indebitati, ma anche la Germania e la Commissione Ue, preferiscono l’ipotesi Esm, in quanto Eurostat non contabilizzerebbe i prestiti nei debiti nazionali, come avverrebbe invece nel caso di un ricorso all’Esfs, con un aggravio per l’Italia di circa 20 miliardi. L’ipotesi Esm si scontra però con i ritardi nel processo di ratifica del nuovo statuto (che rendono improbabile il suo avvio nei tempi auspicati), ma anche con altre considerazioni: lo status di creditore privilegiato di cui gode l’Esm potrebbe costituire un deterrente per gli investitori.
I nodi saranno sciolti entro il 21 giugno, al prossimo Eurogruppo, quando la Spagna presenterà ufficialmente la richiesta di aiuti, quantificandoli: 60 miliardi, secondo indiscrezioni, sui quali verrebbe applicato un tasso tra il 3% e il 4%. Le condizioni saranno definite da Commissione Ue in accordo con la Bce, il Fmi e l’Eba.
Come spiega il Sole 24 Ore, la Spagna, ricevendo i 100 miliardi per aiutare le sue banche, aumenterà il debito pubblico: un debito che alla fine del 2010 si attestava al 61,2% del Pil (in linea con i vecchi parametri di Maastricht), ora viaggia verso il 90-95% del Pil. C’è chi, come il Credit Suisse, lo stima al 106% del Pil nel 2014. Percentuale certo più bassa del 121% italiano, ma preoccupante per la dinamica: calcola Credit Suisse che a quel punto servirebbe una stretta fiscale pari al 9% del Pil solo per evitare ulteriori aumenti del debito. Questa prospettiva penalizza i titoli di Stato spagnoli: scendono i prezzi, salgono i rendimenti. E questo di conseguenza penalizza le banche iberiche, che da novembre ad aprile hanno comprato circa 90 miliardi di euro di titoli di Stato locali portando il totale nel loro bilancio a 261 miliardi (dati Bce). Ovvia la conseguenza: come minimo d’ora in avanti le banche ridurranno gli acquisti di nuovi titoli di Stato spagnoli. E questo è un ulteriore problema: gli istituti iberici sono ormai i principali acquirenti di titoli di Stato di Madrid (ormai solo il 37,5% del debito spagnolo, stima Morgan Stanley, è fuori dai confini nazionali). Se anche le banche di “casa” riducessero gli acquisti, dunque, il Governo rischierebbe di faticare a rifinanziare il debito.
