Bond: come “Mefistofele” Draghi ha convinto Merkel e aggirato Bundesbank

Mario Draghi, quando in Germania era percepito come un tedesco, di più, un prussiano

ROMA – Mario Draghi ha deviato il corso della crisi europea, forse ne ha invertito il segno, a partire da quella breve, fatidica frase pronunciata a Londra il 26 luglio scorso: “Faremo tutto ciò che serve ((whatever it takes) per salvare l’euro”. In quel momento stava impegnando la Banca Centrale Europea al passo decisivo per scongiurare l’attacco a Spagna e Italia sul fronte del debito e la fuga inarrestabile degli investitori dai bond a rischio. In quel momento stava abiurando dal dogma tedesco: non si stampa moneta per sostenere l’economia. Uno scacco all’ortodossia rappresentata dalla Bundesbank che da quel momento, per la prima volta dalla nascita dell’euro, è finita in minoranza.

Il Wall Street Journal ha deciso di ripercorrere passo dopo passo la brillante manovra con cui Mario Draghi è riuscito ad aggirare l’ostinata resistenza del presidente della Bundesbank, Jens Weidmann. Un racconto appassionante dove il più tedesco fra gli italiani (“un prussiano” lo omaggiò Merkel) è riuscito a mettere all’angolo il giovane enfant prodige della finanza tedesca. Giovane analista alla banca centrale, a 37 anni, poco prima che la crisi deflagrasse, Weidmann è diventato il consigliere economico di Angela Merkel.  All’inizio del 2011 l’allora presidente della Buba contesta il largo uso nell’acquisto di bond dei paesi sofferenti: si dimette e lascia il suo posto libero per Weidmann, che continuerà dove quello ha terminato.

Ma allora, nonostante le perplessità, i pregiudizi sugli italiani (“l’inflazione per loro è un modo di vivere, come la pasta al pomodoro”), Draghi è ancora il custode dell’ortodossia che impedisce alla Bce di immettere liquidità per sostenere i titoli in sofferenza. A questo punto Draghi guida la Bce e Weidmann è co-pilota, quale rappresentante dell’azionista di maggioranza nella scuderia. Di acquisti di bond illimitati non se ne parla nemmeno, nonostante da tutto il mondo comincino a piovere consigli, inviti, perorazioni in questo senso. “Non vedete che i mercati puntano alla dissoluzione dell’euro, non capite che interessi al 7% sono una calamità insostenibile per i paesi coinvolti?”

Nulla però è in grado di sgretolare le certezze tedesche (“Non tutti i tedeschi credono in Dio, ma tutti credono nella Bundesbank”). E non è nemmeno per l’incubo di Weimar, almeno non solo per quello: bisogna guardare piuttosto alla fermezza e al rigore della Bundesbank nel dopoguerra e che ha consentito alla Germania del marco stabile il suo primato assoluto economico in Europa. Solo una volta e per pochissimo la Bundesbank ha stampato più moneta, per contrastare a crisi del ’75. Draghi all’inizio del 2012, mentre la crisi si acuisce, prende tempo, non partecipa al dibattito, lancia un programma di sostegno alle banche con prestiti a costo zero.

I mercati si calmano per un po’, Weidmann pensa di aver vinto la partita. La situazione ci mette poco a tornare drammatica. Draghi, in silenzio, senza proclami, rivede il suo pensiero. Il circolo vizioso innalza i rendimenti dei bond a livelli insostenibili, le piccole imprese sono strangolate dal credito. La Grecia è più fuori che dentro l’euro. Draghi inizia a pensare a un piano B: acquisto di bond illimitato, condizioni terribili per chi chiede aiuto. Il francese Coeuré e il tedesco Asmussen sono suoi alleati nel board Bce. A fine giugno si lavora in gran segreto al piano. Prima di lanciarlo Draghi deve premunirs, si aspetta il tiro incrociato dei media tedeschi. Sono mesi che lavora ai fianchi Angela Merkel e il suo ministro delle Finanze Schauble: erano scettici, sono diventati possibilisti, soprattutto quando capiscono che l’euro è in coma, ha bisogno del defibrillatore che solo l’intervento massiccio della Bce può procurare.

Il 26 luglio l’annuncio. Il 27 i giornali tedeschi sparano a zero sul tradimento di Draghi. Ma Schauble, in vacanza su un’isola del Mare del Nord rifiuta i consigli dei funzionari del ministero e  difende la scelta. Hollande è coinvolto nella partita: l’asse franco-tedesco appoggia Draghi. Merkel è d’accordo ma evita dichiarazioni (è già un successo). All’ora di pranzo del giorno dopo si è consumato il clamoroso strappo fra Berlino e Francoforte, tra governo e Bundesbank. Il 1 agosto Weidmann reclama rispetto, la voce di Bundesbank alla Bce deve pesare quanto vale. La sera, al quartier generale della Bce mancano da definire le condizioni subordinate alla richiesta di aiuto e acquisto dei bond. Il giorno dopo l’accordo c’è ma non l’unanimità: è un altro valore sacrificato sull’altare della crisi. L’ha preteso Weidmann di dichiarare ufficialmente la sua contrarietà, Draghi si ferma a riconoscere le sue riserve. Un tabù è infranto: mai alla Bce sono stati resi pubblici i nomi dei contrari.

“Bundesbank si ribella” titola Der Spiegel, che in seguito definirà illegali gli acquisti Bce. La stampa tedesca è scatenata, Weidmann non molla (“acquistare bond è come dare droga ai tossicodipendenti”), ma Merkel riconosce che la Bce opera secondo il suo mandato. “L’acquisto è tale e quale a stampare moneta” insiste Weidmann, sconfitto ma non rassegnato. Schauble lo accusa di minare la fiducia nella Bce e gli intima di farla finita. A Weidmann viene in soccorso, come succede ai grandi perdenti, l’estro della  grande poesia, il Faust di Goethe. Cita un passo, quello dove Mefistofele tenta l’Imperatore, consigliandogli di stampare moneta. “I mercati, comunque, hanno ascoltato Draghi”, conclude il Wall Street Journal.

Published by
Warsamé Dini Casali