Non sarà stato il “geniale Giulio” a far venire la scarlattina a Silvio Berlusconi ma è certo che le richieste del ministro dell’Economia, che ha posto un vero e proprio diktat al premier, hanno aperto uno scontro in seno alla maggioranza di cui è impossibile prevedere il finale.
Conciliare “rigore” e “sviluppo economico”: queste le parole d’ordine, invero un po’ pilatesche, uscite dal vertice di lunedì 26 ottobre alla presenza di Berlusconi e i tre coordinatori del Pdl La Russa, Bondi e Verdini. Si cerca di prender tempo e non buttare benzina sul fuoco ma intanto si stoppano sul nascere le ambizioni del ministro ribelle. Che nel suo partito è sempre più isolato e può contare ormai solo sull’appoggio incondizionato – per ora, almeno fino alla fine della partita sulle regionali – della Lega.
Un nulla di fatto, insomma, che rinvia la soluzione del problema, o sarebbe meglio dire la resa dei conti. Perché Silvio Berlusconi è davvero adirato: «Tremonti viene a casa mia a dettare condizioni? Ma io prendo un Draghi, un tecnico qualsiasi, e lo mando a casa» si è sfogato con i suoi. I nomi non mancano, purché sia chiaro, in Italia e all’estero, che è il Presidente del Consiglio che detta la linea economica: rumors attribuiscono qualche chance al ministro Sacconi, molto apprezzato nel partito, le solite nomi personalità prese in prestito dal mondo economico e dall’alta burocrazia e, perché no, anche il leghista Giorgetti.
A questo punto si aspetta la convocazione dell’ufficio di presidenza, aggiornata al 5 novembre a causa della “provvidenziale” scarlattina del premier.
Dall’altra parte Tremonti ha già detto in faccia al premier tutto quello che aveva da dire: si è chiuso nel silenzio, non partecipa ai numerosi convegni, ma lascia che sia Umberto Bossi a perorare la sua causa e a puntellare la sua posizione.
L’impressione è che entrambi i contendenti, al di là della faccia feroce e le pose muscolari, non hanno troppe carte in mano da giocare e forse stiamo assistendo a un doppio bluff: il premier sa che che nell’ambiente economico, soprattutto internazionale, un cambio di poltrona in corsa sarebbe malvisto (ricorderebbe troppo da vicino le tensioni continue del governo Prodi), che Draghi non ha nè voglia nè convenienza a lasciare la guida di Bankitalia, mentre Tremonti è perfettamente consapevole del suo isolamento nel Pdl e non può presentarsi con le credenziali di ministro in pectore della Lega Nord.
