
ROMA – Niente più 80 euro in busta paga? La legge di stabilità in arrivo al Consiglio dei ministri di giovedì 15 ottobre potrebbe cancellare il bonus di 80 euro, trasformandolo da contributo in busta paga a detrazione fiscale in modo da alleggerire la pressione fiscale. Il bonus, una volta diventato detrazione, sarà ripartito ai 10 milioni di italiani che vi hanno accesso e la quota cambierà di qualche euro in funzione del reddito.
L’obiettivo è quello di alleggerire non solo la pressione fiscale, ma anche la spesa, con l’arrivo di una manovra da 28 miliardi di euro per la legge di stabilità, spiega l’Ansa. Il Parlamento ha già dato il via libera ad utilizzare il deficit fino al 2,4% del Pil l’anno prossimo (circa 17,9 miliardi), sfruttando il più possibile la flessibilità europea, ma a Bruxelles la partita resta ancora – almeno in parte – da giocare.
Il disco verde della Commissione non è infatti prevedibile al momento su tutto l’importo, ma solo sulle clausole riguardanti le riforme e gli investimenti, lasciando temporaneamente da parte invece la più complessa ed articolata questione migranti, da cui l’Italia puntava ad ottenere uno 0,2% di deficit. Circa 3 miliardi insomma, senza i quali la flessibilità utilizzabile si riduce a meno di 15.
In questa cifra vanno però considerati anche i 5 miliardi destinati al piano di investimenti cofinanziati dall’Ue: al netto le coperture apparentemente disponibili scendono quindi ancora, a circa 10 miliardi. A queste devono comunque aggiungersi circa 7 miliardi di spending review, probabilmente un miliardo dalla riforma dei giochi e, secondo le stime più ottimistiche, altri 3 miliardi di entrate dovute nel 2016 alla voluntary disclosure.
In tutto 21 miliardi, che non basterebbero però se nella manovra dovessero entrare tutte le misure di cui si è parlato in questi giorni, a partire da quelle più in bilico, flessibilità delle pensioni e rinnovo della decontribuzione per i nuovi assunti. I punti fermi, come è noto, sono cancellazione delle clausole di salvaguardia e di Tasi e Imu, per un valore totale, solo di queste due voci, di 20,5 miliardi. Il pacchetto imprese, comprensivo di ammortamenti, varrebbe 1,8 miliardi, cui aggiungere nel capitolo welfare 500 milioni per la rivalutazione strutturale delle pensioni, circa 800 milioni (da compensare sull’indebitamento) per esodati e opzione donna ed eventualmente un altro miliardo per la flessibilità in uscita.
Rinnovare, anche se con un decalage, la decontribuzione potrebbe costare un altro miliardo, mentre il piano povertà sarebbe compreso tra 500 milioni e un miliardo. Il costo della proroga dell’ecobonus è calcolato in 350 milioni, quello del contratto degli statali 300 milioni, ed altrettanti la messa a punto del nuovo regime per le partite Iva.
Non va inoltre dimenticato che, con i primi introiti della voluntary disclosure, il governo è riuscito a sterilizzare l’aumento delle accise e il ritocco degli acconti Ires per circa 1,5 miliardi fino a fine anno, non anche nel 2016. Neutro, al fine del bilancio, sarebbe invece il passaggio degli 80 euro da prestazione sociale a detrazione che avrebbe invece un impatto sulla pressione fiscale. Il totale della manovra oscillerebbe comunque tra i 28 e i 29 miliardi, al netto del primo taglio dell’Ires che, con il meccanismo degli acconti, sarebbe scaricato nel 2017.
