ROMA-Il cetriolo del buono pasto…fa un lungo giro e sempre là finisce, là dove il Cipputi di Altan si vede infilato l’ombrello. Al primo giro c’è una riunione o forse due tra sindacati a azienda, tra un qualunque sindacato e una qualunque azienda. Si contratta e si concorda che l’azienda, o perché non dispone di mensa aziendale, oppure perché il lavoratore dipendente nella pausa pranzo mangia fuori dalla mensa, corrisponde, cioè “versa” buoni-pasto al lavoratore. Infatti materialmente mette i ticket in busta paga. Si contratta e si concorda, è una trattativa e ne consegue accordo, con tanto di cifre. Quelle e proprio quelle. L’accordo ad esempio dice: ventidue buoni pasto al mese, tanti sono i giorni lavorativi, del valore di sette euro ciascuno. Fa 154 euro al mese a lavoratore, se l’azienda ha cento dipendenti, allora l’azienda firma un accordo in cui si impegna a spendere 15.400 euro. Se ne ha mille di dipendenti, allora la spesa per l’azienda, quanto ottenuto dai sindacati per i lavoratori è pari a 154.000 mila euro. La cifra è scritta, l’accordo è chiaro. Dopo la firma sono soldi dei lavoratori.
Ma spesso, molto spesso, troppo spesso l’azienda prova a spendere di meno di quanto si è impegnata a versare ai lavoratori sotto forma di buono pasto. Al lavoratore non lo dice e conta sul fatto che la minor spesa che cerca di ottenere sia per il lavoratore insieme invisibile e indifferente. Per far questo l’azienda si rivolge ad altra azienda, quella che prende l’appalto della emissione e circolazione dei buoni pasto. L’azienda che ha giurato di versare 154.000 euro al mese in buoni pasto dice alle aziende che emettono buoni pasto: vuoi l’appalto? Allora fammi spendere il dieci per cento di meno: io ti pago 140.000 mila euro al mese e tu emetti buoni pasti per 154.000. L’azienda che vuole l’appalto dice di sì e 14mila euro che erano dei lavoratori vengono sparecchiati dal patto, spariscono, li risparmia l’azienda che paga in buoni pasto, non li guadagna l’azienda che vince l’appalto dei buoni pasto.
Al secondo giro del cetriolo questo appunto comincia a girare cercando una destinazione finale. Cosa fa l’azienda appaltatrice che emette buoni pasto per 154mila ma incassa dall’azienda che paga in buoni pasto 140mila? Trasferisce i 14mila euro mancanti, o per meglio dire la mancanza di quei 14 mila euro, sulle spalle e nelle tasche di bar, ristoranti, rosticcerie e alimentari che accettano i buoni pasto finiti nel frattempo nel portafoglio dei lavoratori. Dice l’azienda che ha vinto l’appalto, quella che dovrebbe pagare 154mila euro a bar, ristoranti…Dice a bar, ristoranti e… Dice: io incasso 140 invece di 154, quindi voi che incassate 154, il valore nominale di buoni pasto, da me in realtà avrete 140mila, il valore reale a cui mi sono stati pagati. Il cetriolo del buono pasto, i 14 mila euro in meno, dopo aver aleggiato sull’azienda appaltatrice, ora punta su esercenti e proprietari di bar, ristoranti, alimentari, quelli che trasformano il buono pasto in panini, primi piatti, cotolette…
E che fanno al terzo giro del cetriolo i padroni ed esercenti di bar, ristoranti e negozi alimentari? Se lo tengono? No, lo girano. Se vengono pagati in buoni pasto che nominalmente, sulla facciata del ticket valgono 154mila, ma che in realtà a loro portano 140mila euro di reale guadagno, allora adeguano il valore della merce fornita al valore reale del loro incasso. Forniranno, forniscono cibo che vale 140 mila euro e non 154mila. I 14 mila mancanti li trovano tagliando la quantità e la qualità del cibo fornito, altrimenti ci rimetterebbero.
Siamo alla fine del giro del cetriolo, è arrivato a destinazione: i mille dipendenti dell’azienda originaria, quelli che hanno contrattato e ottenuto buoni pasto per 154mila euro mensili si ritrovano in mano ticket che valgono 140mila euro perché questo e non altro è il valore della merce cibo che compreranno con quei ticket. L’azienda originaria ha risparmiato 14 mila euro al mese trasferendo il costo sull’azienda appaltatrice, questa li ha trasferiti a bar e pizzerie e ristoranti, questi li hanno trasferiti sui lavoratori-consumatori dotati di buoni pasto. Lavoratori consumatori che alla fine del giro si ritrovano con 14mila euro in meno di quanto c’era scritto sull’accordo che avevano ottenuto e firmato. I 154 euro al mese a ciascun lavoratore in buoni pasto sono diventati 140 a testa. Il giochino del cetriolo lo si gioca su un mercato complessivo di due-tre miliardi di euro, alla fine del giro sono due-trecento milioni di euro di salario in meno: il cetriolo è arrivato a casa sua, là dove il Cipputi di Altan nelle vignette si vede infilato l’ombrello.
