ROMA – Dopo l’accordo di Capodanno tra la Fiat e il sindacato americano Uaw sull’acquisizione del 100 % della Chrysler, con il titolo Fiat salito del 16 %, il presidente della Fiat, John Elkann, e l’amministratore delegato Sergio Marchionne hanno scritto una lettera personale ai 300 mila dipendenti del nuovo gruppo Fiat-Chrysler democraticamente definiti, nota Salvatore Cannavò sul Fatto, “colleghi”:
“La soddisfazione trasuda da ogni riga accompagnata dalla lettura dei giornali di mezzo mondo i quali hanno dato la notizia con il massimo rilievo. Il successo dell’operazione viene sottolineato anche dai commenti casalinghi dove la politica, tranne qualche eccezione, è tutta schiacciata su Sergio Marchionne. Sul fronte sindacale, il segretario della Cisl Bonanni rivendica parte del merito anche alla sua organizzazione, mentre Susanna Camusso, segretario della Cgil, plaude all’operazione “di grande rilevanza” ma allo stesso tempo ritiene indispensabile che “Fiat dica cosa intende fare nel nostro Paese”.
E qui, nota ancora Salvatore Cannavò,
“il Lingotto tiene per il momento le carte coperte sulle prossime mosse e, in particolare, sul progetto di fusione tra Fiat e Chrysler che avrà, come corollario simbolico ma non privo di importanza, anche la collocazione della sede legale: a Torino o a Detroit? Le mosse compiute finora rendono inevitabile la strada della fusione e il Financial Times sostiene che la quotazione avverrà a New York entro quest’anno.
“A far da riferimento è il modello seguito per Fiat Industrial. Nel 2011 la Fiat ha scorporato il settore automobilistico da quello industriale incorporato poi nell’olandese Cnh. Questa, l’unica a essere quotata, ha la sede legale in Gran Bretagna e solo il 7, 9 % del fatturato prodotto in Italia. Lo stesso destino si annuncia per l’auto.
Non tutto è oro, però, nota il Fatto. Come ha scritto il Wall Street Journal, “il trucco usato con Chrysler non è una panacea”. Nota ancora Salvatore Cannavò che
“il nuovo gruppo, il settimo su scala mondiale, dovrà inoltre disegnare la sua strategia in un mercato che cresce soprattutto in Asia e in America. Se la tedesca Volkswagen è riuscita ad affrontare le difficoltà differenziando la produzione soprattutto verso la Cina, la Fiat lo ha fatto grazie agli Usa. Ma, a differenza dei tedeschi, il successo americano è dipeso da due fattori troppo spesso dimenticati:
“1. la politica industriale di Obama che è il vero protagonista del salvataggio dell ’ automotive. È vero che i 10 miliardi di dollari messi sul piatto dal governo Usa e da quello canadese sono stati via via restituiti dall’azienda di Sergio Marchionne, ma senza quella dotazione iniziale l’impresa non avrebbe potuto essere pensata.
“2. il contributo decisivo del sindacato, che ha accettato condizioni proibitive pur di non perdere la fabbrica: riduzione del 30 % del costo del lavoro con una paga oraria passata dai 75 dollari del 2006 ai 52 del 2011. Oltre a questo, l’accordo con la Fiat, propedeutico al prestito del Tesoro americano, prevedeva l’aumento dell’orario di lavoro, la riduzione delle pause, il dimezzamento del salario per i nuovi assunti, l’assenza di scioperi fino al 2015, l’introduzione del nuovo modello lavorativo World Class Manifacturing e, in particolare, la fuoriuscita dall’azienda di circa 28 mila lavoratori. Un contributo senza il quale la “magia” di Marchionne non esisterebbe”.