ROMA – Sfoghi da dipendenti in epoca Fornero, giunti al Corriere della Sera: “Voi cambiate la legge sui contratti a termine e fate pagare di più i datori di lavoro? Il mio si cautela e abbassa i salari”. Grosso modo è così che si comporta il titolare di un’azienda preoccupato dell’aumento del costo del lavoro e che giudica la riforma penalizzante per gli imprenditori. Gioca d’anticipo, lo ammette. Il dipendente capisce l’antifona e si cautela, per quel che può, preferendo l’anonimato. “La mia azienda ha già trovato la via d’uscita: avendo capito che la riforma del lavoro è una priorità nell’agenda del governo, il rinnovo dei nostri contratti a termine per il 2012 è avvenuto previo inserimento di una piccola clausola: nel caso di imminenti cambiamenti legislativi che dovessero rendere più caro per l’azienda il costo del lavoro di quella persona, si conviene che il compenso pattuito al momento della stipula sarà rivisto al ribasso…”. Si conviene, meno male, pensate se fosse stata una decisione unilaterale…
Sono note le posizioni di Confindustria su contratti, ammortizzatori sociali, tutele, articolo 18: cerca di difendere gli interessi dei suoi associati e di limitare i costi relativi alle assunzioni e ai licenziamenti. Del resto si comporta come i sindacati, che almeno secondo l’economista Giavazzi, insieme agli imprenditori appunto non sono altro che corporazioni. Però, nessuno, nemmeno chi difende strenuamente il valore, il peso, il ruolo delle Pmi era mai ricorso alla minaccia del “salario flessibile” a seconda della convenienza. All’inserimento di clausole preventive. Allo scarico degli oneri sempre e comunque sulle spalle del lavoratore, a questo punto, secondo la tesi esposta dall’imprenditore anonimo, vittima predestinata dei suoi appetiti vampireschi.
Cos’è che non piace ai datori di lavoro? Parliamo di contratto a tempo determinato: “Il disincentivo all’uso del contratto a tempo determinato è perseguito, principalmente, tramite un incremento del relativo costo contributivo, destinato al finanziamento dell’assicurazione sociale per l’impiego (attuale assicurazione contro la disoccupazione involontaria)” recita la bozza su cui il ministro Fornero lavora per contrastare l’uso indiscriminato e spesso furbesco dei contratti a termine. Se assumi a termine questo ti costa un po’ di più, forse sarai indotto a cercare di stabilizzare di più i profili professionali, è il principio ispiratore.
Parliamo di contratto a tempo indeterminato: quando formalizza il licenziamento, questa la proposta Fornero, l’azienda si impegna a versare all’Inps un contributo economico pari a mezza mensilità come indennizzo “per ogni 12 mensilità di anzianità aziendale negli ultimi tre anni (compresi i periodi di lavoro a termine)”. Si applica ai lavoratori a tempo indeterminato e agli apprendisti, i quali, in teoria, sono in prova per essere assunti definitivamente (e per loro non vale l’art. 18).
Parliamo di esodo dal lavoro o prepensionamenti: come per i bancari, il ministro propone che eventuali uscite anticipate per chi maturi i requisiti per la pensione nei 4 anni successivi siano finanziate da un fondo ad hoc a carico delle imprese. La prestazione avrebbe un importo pari a quello del trattamento di pensione che spetterebbe in base alle leggi vigenti. E’ prevista una prima fase transitoria fino al 2015: in questo periodo per i futuri esodati che si trovavano in regime di mobilità, la copertura finanziaria verrà dalla stessa indennità di mobilità.