Crediti e compensazioni Iva che crescono senza controllo con effetti allarmanti per lo Stato, su cui è arrivato a gravare un “debito pubblico occulto” di 45 miliardi di euro. È la cifra raggiunta dai crediti Iva che i contribuenti vantano nei confronti dell’amministrazione finanziaria. Crediti sempre più spesso falsi, che costano al Fisco italiano la bellezza di 20-25 miliardi di euro, risorse destinate ad andare in fumo perché prima o poi verranno compensate o chieste a rimborso.
Dati e scoop sono contenuti nel libro di Roberto Convenevole, direttore dell’ufficio studi dell’Agenzia delle entrate, di cui il sito di Italia Oggi fornisce un dettagliato riassunto. Il libro è fresco di pubblicazione ma non è ancora stato distribuito. Già il titolo del lavoro è eloquente: “La materia oscura dell’Iva”, con un sottotitolo ancora più esplicito, secondo il quale “l’imposta che rappresenta un successo mondiale è l’epicentro della crisi fiscale italiana”.
Secondo la tesi centrale dello studio, in effetti, l’Iva è vittima di una miriade di degenerazioni che ne fanno la causa principale della crisi fiscale italiana. Nel mirino finisce soprattutto il sistema dei crediti Iva, riferimento tanto più significativo se letto alla luce della maxifrode Iva imputata recentemente a società come Fastweb e Telecom. Il meccanismo, ricorda l’autore stesso, funziona così. Il diritto al rimborso Iva scatta per coloro che effettuano investimenti. Quando le imprese chiedono il rimborso dell’Iva, l’amministrazione non fa altro che restituire l’Iva pagata dalle aziende per l’acquisto di beni ammortizzabili e che i produttori dei beni di investimento avevano versato all’erario in precedenza.
Convenevole, che guida l’ufficio studi dell’Agenzia delle entrate dal 2001, fornisce una serie di dati. Si parte dall’incredibile escalation che nel corso degli anni hanno subito i crediti Iva e le compensazioni. Tanto per dirne una nel 1997 lo stock dei crediti relativi all’imposta sul valore aggiunto ammontava a 19,8 miliardi di euro. Nel 2007, ultimo anno disponibile considerato nello studio, la mole è arrivata alla bellezza di 45,1 miliardi, che possono essere visti «come l’Iva negativa, una sorta di debito pubblico occulto».
Per non parlare delle compensazioni. Nel 1998, primo anno a partire dal quale fu possibile farne uso, il loro importo si fermò a 804 milioni di euro. Dieci anni più tardi, siamo nel 2008, il loro ammontare è salito a 19,035 miliardi. E che dire del numero dei contribuenti che ha utilizzato le compensazioni nel corso degli anni? Erano 145 mila nel 1998, saliti a 1.035.161 nel 1999 (in quell’anno venne consentita la compensazione del credito Iva prima della presentazione della dichiarazione), a 1.446.677 nel 2004, per finire a 1.742.417 nel 2008.
È una crescita travolgente, ma il sintomo principale della disfunzione, secondo il libro, sta nel rapporto tra lo stock complessivo dei crediti Iva e la base imponibile totale dell’imposta. In una tabella è presentata l’evoluzione di questo rapporto dal 1980 ad oggi. In quell’anno i crediti ammontavano a 2,7 miliardi di euro, il 2,1% della base imponibile Iva; nel 1993 erano arrivati a 14,6 miliardi, il 2,91% della base imponibile; nel 1998 a 22,9 miliardi, corrispondenti al 3,57%; nel 2004 a 37,5 miliardi, il 4,59%; nel 2006 a 44,4 miliardi, il 4,97%. Infine arriviamo ai 45,1 miliardi di crediti del 2007, di cui lo studio non indica il peso percentuale sulla base imponibile, che comunque rimane consistente.
Seguendo questa serie, ecco come Convenevole spiega il cuore del problema: «La tendenza alla crescita di stock/base imponibile (il rapporto crediti Iva/base imponibile totale Iva) è la spia del cattivo funzionamento dell’imposta. Se l’aliquota media del sistema cresce, anche lo stock tende a crescere, ma se l’aliquota media rimane la stessa-la griglia delle aliquote è immutata dal 1997-perché lo stock cresce e di molto?». Per l’autore la domanda è retorica. Il fatto è che la risposta fornita è alquanto preoccupante. Lo studio, infatti, sostiene che «l’Iva ha assunto nell’ultimo decennio l’aspetto di una credit machine: vale a dire una macchina che genera crediti d’imposta per i titolari di partita Iva».
E ancora: «Una parte cospicua della platea di contribuenti utilizza l’Iva come un contributo alla produzione traendone vantaggi finanziari indebiti». Convenevole ritiene, anche se ammette che il dato al momento è indimostrato, che il numero dei soggetti che effettuano compensazioni indebite potrebbe rappresentare l’80% della platea interessata. E calcola che a fine 2007 ammonterebbero a 20-25 miliardi di euro i crediti Iva del tutto falsi, che prima o poi verranno compensati o chiesti a rimborso. Notizie non proprio felici per l’Agenzia delle entrate guidata da Attilio Befera.
In tutto questo cosa fa l’amministrazione? Sin dalla premessa lo studio non fornisce risposte confortanti. «È mio convincimento», si legge, «che l’amministrazione finanziaria nel suo complesso abbia da sempre fatto a pugni con l’Iva uscendone spesso malconcia». E questo perché «al centro si discetta sull’aliquota da applicare alle lapidi piuttosto che ai loculi, invece di riflettere sul ruolo di architrave che l’imposta riveste nei sistemi fiscali contemporanei».
Quanto ai fenomeni degenerativi dell’imposta, la tesi del lavoro è che «l’amministrazione nel suo complesso è rimasta ignara del fenomeno, priva com’era di qualsiasi strumenti di monitoraggio e quindi di valutazione». Convenevole ricorda che in tal senso si è mosso qualcosa solo dal 2007. La realtà è quella di un’imposta, dice lo studio, afflitta da un’evasione di circa 40 miliardi di euro: 26,2 mld da sottofatturazione delle vendite, 7 mld da costi non sostenuti e 8-6 miliardi dalle frodi carosello (quelle imputate a Telecom-Fastweb).