
ROMA –ย Nouriel Roubini nel 2008 preannunciรฒ una crisi devastante per i mercati e le economie internazionali. Oggi il guru della New York University vede “inquietanti parallelismi” con la crisi piรน nera di sempre e invoca in un’intervista alla Repubblica un accordo fra le banche centrali che scongiuri il peggio. “Non si puรฒ restare fermi. Le autoritร fiscali e monetarie dei principali Paesi dovrebbero subito assumere unโiniziativa forte e proattiva. Altrimenti il crollo dei mercati, che trascinano lโeconomia reale, non si ferma. La Fed dovrebbe interrompere i rialzi, la Bce potenziare il quantitative easing e altrettanto la Bank of Japan, la Banca centrale cinese imbracciare con maggior decisione la strada dello stimolo monetario”. Per Roubini ancora si puรฒ evitare di ripiombare in una fase recessiva acuta come quella del 2008.
“Non si possono non rilevare inquietanti parallelismi che ci danno una fortissima preoccupazione. Bisogna capire se quello di questi giorni รจ solo un rovescio dei mercati o lโinizio di un nuovo crollo sistemico. Allora il detonatore furono i mutui subprime, ora potrebbe essere la catena di fallimenti delle societร dello shale oil, messe in larga parte fuori mercato dai prezzi del greggio e dalla sovrapproduzione dellโOpec. Rispetto al 2008, quando furono le banche, sovraccariche di debiti, a cedere e aprire la crisi sistemica, gli istituti sono piรน capitalizzati in tutto il mondo. Bisogna allora tener dโocchio il mercato delle obbligazioni Usa, tanto importante quanto debole. ร in corso una massiccia svendita di corporate bond legati appunto al settore energetico che rischia di destabilizzare il sistema. Eโ il piรน grande punto interrogativo del 2016. Nessuno sa quale sia il vero stato di salute reale del comparto, ma il settore energetico รจ esposto: bisogna vedere se siamo di fronte a una serie di fallimenti individuali o una vera โepidemiaโ che avrร effetti sistemici e gravi”.
L’economista vede nel cattivo andamento delle vendite al consumo delle ultime settimane un altro problema particolarmente insidioso, anche esso collegato al prezzo del petrolio.
“In una catena di eventi, i licenziamenti nello shale oil determinano una contrazione dei consumi per il semplice motivo che chi รจ disoccupato non ha soldi da spendere. Eโ sintomatico lโannuncio della chiusura di molti punti vendita Wal-Mart in un momento in cui tutti erano eccitati proprio per il calo-greggio che sembrava preludere a un boom dei consumi. Eโ andata allโopposto. Ciรฒ porterร a profitti inferiori alle aspettative per molte importanti aziende americane non solo della distribuzione”.
ย C’รจ un problema Cina.
“Teniamo presente che la scivolata dei valori azionari dโinizio anno va associata piรน che a ulteriori cattive notizie sul fronte economico a una serie di fattori tecnici concentrati: la fine del divieto di vendere titoli da parte dei maggiori azionisti (poi ripristinato nellโemergenza), lโintroduzione di piรน severi sistemi di blocco automatico delle contrattazioni in caso di oscillazioni (che spesso interrompe la giornata di unโazione quando รจ sui valori piรน bassi), perfino la ripresa delle offerte iniziali di acquisto che aumentano lโofferta di titoli”. […] La crescita cinese questโanno non supererร il 6% contro il 7 del 2015, e ci sono grossi problemi di modello di sviluppo, di consumi interni che non riescono a decollare, di export compromesso per la lentezza del resto del mondo. La Cina รจ un fattore di volatilitร ma da solo non basta a determinare il panico diffuso nel mondo. La crescita resta debole in Europa e rallenta in America, come testimonia lo stillicidio di dati deludenti degli ultimi giorni, dallโattivitร manifatturiera alle vendite al dettaglio. In Europa cโรจ lโaggravante dellโincombente referendum sulla Brexit, della confusa situazione politica in Spagna, delle persistenti tensioni nellโarea euro anche se la morsa dellโausterity sembra allentata. Nรฉ possiamo dimenticare le tensioni geopolitiche e il terrorismo che ne รจ il โbyproductโ. Ancora una volta la chiave per tamponare gli effetti economici delle crisi politiche risiede in prima battuta nelle banche centrali”.






