BRUXELLES – Jean Monnet, uno dei padre fondatori dell’Europa politica, disse una volta che «l’Europa sarà forgiata dalla crisi e presto sarà la somma delle soluzioni adottate per queste crisi». La citazione sembra tipica della mentalità di un economista, abituato alla ciclicità delle recessioni e consapevole della non linearità del progresso economico. Eppure, quella frase si è rivelata senz’altro profetica e si applicherà un giorno all’attuale crisi europea. La reazione, dapprima confusa e in preda al panico, poi riflettuta e strutturata, degli stati membri è stata di dare il via ad importanti riforme e di creare nuove istituzioni che hanno la potenzialità di mettere fine al processo traumatico di introduzione della moneta unica.
Siamo ormai lontani dalla filosofia primitiva che animava gli iniziali accordi all’indomani della nascita dell’euro e così la clausola del «no-salvataggio», nonostante le imprudenti reticenze tedesche, è stata infine messa da parte. Nel primo periodo della zona euro si è avuto, lo si vede retrospettivamente, un’euforia ed una negligenza che hanno portato ad una generale disattenzione nei confronti delle fonti della crescita dei paesi della «periferia».
Non si è guardata se quelle crescite fossero fondate su basi stabili in un ciclo economico «reale» o se fossero invece basate su fenomeni più effimeri o semplicemente «dopati» (il mercato finanziario in Irlanda o il boom edilizio in Spagna.) Oggi, il velo è caduto, la finzione è davanti agli occhi di tutti e l’Europa può guardare, con un rinnovato realismo, alle sue economie e, soprattutto, può capire quali crescite economiche e finanziare siano o no sostenibili.
Nonostante il pessimismo che ancora domina nella società e negli ambienti economici e malgrado gli effetti duraturi della crisi che ancora si fanno sentire (disoccupazione, inflazione, etc.), appare ormai chiaro che i leader europei sono riusciti nella prima parte del loro compito, quella di arginare la crisi. Questa missione è riuscita ai due livelli della scala economica, quello nazionale – si pensino alle severe misure del premier spagnolo Zapatero – e a quello europeo. Per fare questo, sono stati messi in campo i tradizionali meccanismi di salvataggio, ma – e questo è il dato più importante – sono state fondate anche nuove istituzioni sul modello dell’FMI, come il Meccanismo di Stabilità Finanziaria che garantirà assistenza ai paesi in difficoltà con un corto preavviso (senza dover, dunque, sottomettere la stabilità finanziare alle esigenze elettorali dei grandi paesi, com’è successo nel caso della Grecia.) Si tratta di un’importante novità nel panorama dell’Europa politica e sarà, si spera, usata con successo per combattere l’instabilità e favorire la coesione dell’area.
Ma, dopo questo primo «step», l’Europa deve fronteggiarne un altro, ed è quello di rimettere in ordine la bilancia della liquidità, garantendo ai creditori ed ai debitori delle soluzioni eque e sostenibili. Su questo fronte, l’Europa può profittare dell’insegnamento della storia economica. La grande crisi del debito dei paesi latino-americani ci ha insegnato che la via di uscita dalla seconda fase della crisi si trova in una negoziazione politica sulle solvenze dei debiti tra creditori e debitori.
All’inizio degli anni ottanta, diversi paesi dell’America Latina, ed in primis il Messico, si trovarono nell’impossibilità di pagare gli interessi a diverse banche americane. Allora agli istituti di credito fu permessa dapprima un’«indulgenza regolatrice» mentre in un secondo momento le restituzioni dei prestiti furono rese più facili da un seria di misure finanziarie che permisero un non traumatico ritorno alla circolazione normale di liquidità.
L’Europa, nel momento di fare i suoi conti, dovrà anch’essa pensare all’equità e alla sostenibilità delle sue decisioni. Nel contempo, la seconda fase della crisi deve essere un impulso – per ora solo parzialmente accolto – per rivedere l’affidabilità dei sistemi bancari. I numerosi istituti che sono state salvati dalle banche centrali nazionali non possono e non devono tirarsi indietro davanti a controlli più rigorosi e realistici e di fronte, più di ogni altra cosa, all’esigenza della solidarietà europea.