MADRID – C’è del marcio nelle banche spagnole. Almeno in otto banche del Paese, stando ai risultati degli stress test. Otto su 15 sono infatti gli istituti che hanno bisogno di una ricapitalizzazione, cioè di altri soldi. Per un totale di 59,3 miliardi, che però scendono a quota 53,7 miliardi se si tiene conto delle “misure di integrazione” in corso fra gli istituti e gli attivi differiti (cioè i soldi che le banche devono incassare nel prossimo futuro.
Bankia, il gruppo spagnolo nato dalla fusione di alcune casse di risparmio, necessita di 24,74 miliardi di euro di capitali freschi. Le altre quattro banche nazionalizzate hanno bisogno di circa 21 miliardi.
Catalunyabank di 10,8 miliardi, Novagalicia Banco di 7,1 miliardi, Banco Valencia di 3,4 miliardi. Fra gli altri istituti di credito Banco Popular 3,2 miliardi e Banco Mare Nostrum 2,2 miliardi. La progettata fusione fra Ibercaja, Caja3 e Liberbank per essere portata avanti, avrebbe bisogno di 2,1 miliardi.
La ricapitalizzazione del primo gruppo di banche spagnole è programmato entro novembre.
Secondo il vice governatore del Banco di Spagna Fernando Restoy nello scenario peggiore ipotizzato dagli stress test (caduta del Pil del 4,1% nel 2012 e del 2,1% nel 2013) le perdite totali del sistema sarebbero pari a 270 miliardi, 90 in più dello scenario base.
Gli stress test arrivano il giorno dopo il varo della nuova manovra del governo di Mariano Rajoy, la “più austera” dalla democrazia del dopo Franco. E nel giorno di quella francese di Francois Hollande, con il ministro dell’Economia, Pierre Moscovici, che avverte che il debito pubblico di Parigi ha raggiunto un livello “critico”, una minaccia per la crescita, e non solo.
Il timore, quasi la certezza, è che l’effetto dell’ultima spinta propulsiva del governatore della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, si stia esaurendo, e che Madrid avrà bisogno di aiuti internazionali più consistenti dei 40 miliardi ipotizzati nelle ultime settimane. Quasi sessanta miliardi, secondo le richieste arrivate dopo gli stress test.
Il caso spagnolo non finisce con i confini nazionali. E’ la prova che l’Europa deve superare per evitare un nuovo intervento, e soprattutto l’incubo contagio, ormai agitato anche dai ministri francesi.
Gli investitori temono che Madrid perda il controllo dei conti pubblici. I negoziati aperti, ma negati, con l’Unione Europea per far scattare il tetto antispread coordinato tra Bce e fondo salva Stati Esm, che il 27 settembre ha ottenuto l’ok dei tecnici del Tesoro dei Paesi Ue, compresa la Germania dell’austera Angela Merkel. Il Fondo dovrebbe partire l’8 ottobre. Si vedrà se dovrà correre in aiuto di Madrid.
Bruxelles plaude alla manovra Rajoy, con il commissario europeo agli Affari Economici Olli Rehn che si è sperticato a dire che va persino “oltre le richieste”.
Lo spread spagnolo continua a galoppare ben oltre quota 400. Certo, non sono i livelli da 500-600 raggiunti prima dell’azione di Draghi. Ma se nelle banche verrà davvero trovato del marcio Madrid tornerà a rischiare. E non solo lei. I segnali ci sono tutti, anche in Italia: con lo spread Btp-Bund che veleggia verso quota 370.