ROMA – Tagliare il debito e crescere. Sono i due fattori chiave, individuati dal presidente della Consob Giuseppe Vegas, per affrontare e risolvere in modo duraturo la crisi dello spread. In un lungo studio pubblicato in parte dal Sole 24 Ore Vegas analizza la crisi dal 2008 ad oggi e individua i fattori chiave che determinano la sfiducia dei mercati e quindi la salita dei rendimenti delle obbligazioni. Secondo il presidente Consob la vulnerabilità stimata dai mercati è riconducibile soprattutto allo stock del debito, mentre non sembra troppo rilevante il saldo primario.
Vegas in un suo studio pubblicato dal Sole 24 Ore individua due fasi precise della storia finanziaria della Ue. Una prima, durata fino al 201o, caratterizzata da una forte convergenza dei rendimenti dei titoli di Stato dei paesi membri. Un fatto “non scontato” visto che, spiega,
L’adesione alla moneta unica, infatti, ha comportato la rinuncia alla sovranità della politica monetaria nazionale e, quindi, alla possibilità di monetizzare il debito pubblico; tale circostanza unitamente alla clausola di non salvataggio (no bail-out clause) avrebbe potuto determinare un aumento della percezione del rischio sovrano dei paesi ritenuti più vulnerabili o meno credibili rispetto alla capacità di dare attuazione a politiche fiscali virtuose.
Invece, fino a gennaio 2010 la percezione del rischio non c’è stata. Cosa è accaduto poi? E’ successo che sono arrivate le crisi finanziare. Quella greca prima, quelle irlandesi e portoghesi poi. Crisi che secondo Vegas hanno portato ad un primo picco dello spread, nei Paesi periferici prima e in Spagna e Italia poi.
Lo stesso scenario, spiega ancora il presidente Consob, si è ripetuto fino all’inizio del 2012 in un quadro che nel frattempo si era fatto più critico.
Quel momento dell’anno – scrive Vegas – ha coinciso con l’esito positivo del coinvolgimento del settore privato nella risoluzione della crisi greca, gli interventi di consolidamento del debito intrapresi da alcuni paesi dell’Area euro e gli accordi europei relativi ai cosiddetti Six pack e Fiscal compact.L’andamento dei rendimenti dei titoli pubblici ha riflesso, inoltre, le operazioni di rifinanziamento a tre anni effettuate dalla Banca centrale 3 europea, rispettivamente il 26 dicembre 2011 per 486 miliardi di euro e il 29 febbraio 2012 per 530 miliardi; di questi 150 miliardi sono stati forniti alle banche italiane.
L’effetto benefico, però, si è dissolto a fine marzo. Per il presidente Vegas c’è un dato preciso: dal 2008 è aumentata l’incidenza del fenomeno del “market sentiment”, ovvero i l’incidenza dei fenomeni di contagio innescati dall’evoluzione della crisi (come i subprime e la crisi del debito sovrano) e dall’aumento dell’avversione al rischio degli operatori e degli investitori. Tradotto: con la crisi gli operatori di mercato non rischiano più. E chi è fragile ci rimette.
L’analisi del presidente Consob:
In particolare, il confronto tra il valore medio dello spread nel secondo trimestre 2012 e le variabili di finanza pubblica per i principali paesi dell’Area euro sembra confermare che la vulnerabilità (ovvero la forza) che viene “prezzata” dai mercati è riconducibile soprattutto allo stock esistente del debito mentre invece sembra non rilevante la dinamica del debito pubblico così come rappresentata dal saldo primario, dinamica rispetto alla quale l’Italia è favorita rispetto agli altri paesi dell’Area euro (solo la Germania registra un saldo primario positivo e comunque inferiore a quello italiano). Il ruolo del market sentiment si spiega alla luce dei profili di fragilità che caratterizzano l’Area euro. Da un lato, sono troppo marcate le differenze nei livelli di competitività tra i paesi cosiddetti core e i paesi periferici, come segnalano le dinamiche divergenti del costo e della produttività del fattore lavoro nelle varie economie dell’Area e gli squilibri nella posizione creditoria/debitoria sull’estero che ne sono derivati. Dall’altro, la mancanza di una Banca centrale che agisca da prestatore di ultima istanza e intervenga ove necessario alimenta i timori che la crisi di liquidità di uno Stato possa sfociare in uno stato di insolvenza, in un contesto di aspettative che si auto-realizzano (self-fulfilling expectations). Viceversa, i paesi al di fuori dell’Area euro sono protetti da evoluzioni di questo tipo dall’aspettativa (confermata) di una politica monetaria attiva.
I mercati hanno capito la Bce. Sempre sul Sole, Vegas in un’intervista spiega che finalmente qualcosa è cambiato: ”Vedo che i mercati, dopo un primo momento nel quale sono state interpretate male le scelte della Bce, hanno registrato invece il loro significato per quel che sono effettivamente”.
Il presidente della Consob spiega: ”A Francoforte sono state poste le basi per poter fare interventi di fornitura ai mercati di tutta la liquidità di cui c’è bisogno e dare tempo ai governi di attuare le politiche”. Vegas, in uno studio ”personale” ha analizzato ”il fenomeno dello spread” concludendo che ”quando consideriamo i recenti picchi del differenziale dei titoli italiani, il 70% circa è attribuibile al contagio esterno e solo il 30% a ragioni interne. Non a caso insisto sulla necessità di esaminare l’affidabilità delle agenzie di rating. Il motivo è che in questo momento l’Italia è ingiustamente penalizzata, piu’ ancora della Spagna, se si tiene conto dei nostri fondamentali”.
”Io credo – osserva quindi Vegas – che se noi interveniamo dando un percorso definito per uscire dalla crisi la paura si attenuera’. Le decisioni di questo governo difficilmente potranno essere smentite dai governi successivi. I partiti, proprio perche’ aspirano a governare il paese, non vogliono ritrovarsi le macerie. Non è pensabile, in un Paese evoluto, che si cambi politica ogni sei mesi solo perche’ cambiano i governi”.