Dalla maggioranza ok alla stangata da 45 mld l’anno per i prossimi 20

Alfano, Bersani, Casini (Lapresse)

ROMA – E’ tecnica o politica la maggioranza (Pdl, Pd, Terzo Polo) che firma a Monti una cambiale da 900 miliardi per i prossimi vent’anni? Nonostante un’aula semi-deserta e nel silenzio quasi totale della stampa, con 486 voti favorevoli la Camera (in Senato stesso esito) ha approvato una mozione sull’Unione Europea  che impegna per la prima volta il Parlamento ad accettare il “six pack”, il pacchetto di misure europee sul rispetto del patto di stabilità e la riduzione del debito pubblico. Mario Monti lo aveva sottoscritto il 9 dicembre mettendo la firma del presidente del Consiglio italiano sul trattato intergovernativo proposto dalla Merkel. Quindi austerity, rigore, controllo centralizzato dei bilanci. Niente crescita né eurobond.

“A Monti una maggioranza che vale 900 miliardi” titola Il Fatto Quotidiano l’articolo di Stefano Lepri sull’importante votazione. Nel six pack, infatti, c’è, nero su bianco, l’obbligo per ogni paese membro a ridurre del 5% annuo la quota di debito eccedente il 60% del Pil, per i prossimi venti anni (a fine 2011 il debito era a 1905 miliardi, con un rapporto con il Pil del 118%). Senza contare che se i crediti dello Stato nei confronti delle imprese fossero contabilizzati come finanziari invece che come commerciali il rapporto del debito sul Pil sarebbe al 125%.  Un impegno mica da ridere, sono almeno 45 miliardi l’anno, il corrispettivo di una stangata pesante ogni 12 mesi, una quota di iscrizione piuttosto esosa per restare membri del circolo europeo. D’altra parte sono le condizioni imposte dalla Germania. Gustavo Piga su Blitzquotidiano ha lanciato un appello per scongiurare l’adozione del vincolo del 5% e chiesto espressamente a Monti di mettere il veto su questa misura. Sul debito si sta facendo il gioco delle tre carte ma il risultato è sempre lo stesso, recessione, se non si imboccano strade che privilegino l’espansione dell’economia.

Ora, però, non si potrà più dire che l’adesione al trattato intergovernativo, con la relativa accettazione degli obblighi sul debito, sia una scelta che ha impegnato solo un esecutivo alla disperata ricerca di un ombrello europeo per ripararsi dalla minaccia del default e dal crollo dei titoli di stato. Alfano, Bersani, Casini hanno avallato la scelta di Monti, ne sono consapevoli e tracciano un sentiero obbligato per le finanze pubbliche da qui al 2032. Nonostante i malumori nei rispettivi partiti e varie, episodiche, indicazioni di massima per alleggerire il carico. Un po’ ci aiuterà l’inflazione, una boccata d’ossigeno arriverà dalle dismissioni, e si, spera, fra un po’ anche dalla crescita, per ora latitante: ecco, nei periodi si stagnazione magari i vincoli potrebbero essere un po’ meno rigidi. Ma è tutto qua, quella cambiale va pagata: per far diminuire l’imposizione fiscale bisognerà aspettare venti anni, ammesso che non si sia costretti ad aumentarla?

Il segretario del Pd invita a uscire da una logica meramente matematica per la riduzione del debito, non si prometta ciò che non si può mantenere. Ma il suo intervento si limita a questo, alla speranza, affidata a una improbabile resipiscenza della Merkel, di un atterraggio più morbido verso l’obiettivo rientro. “Non si possono rispettare impegni impossibili e mettere l’Italia di fronte all’impossibile significa metterci l’Europa” ha sostenuto Bersani: curioso, se mettiamo Germania al posto di Italia, sono le stesse parole usate dall’irremovibile Angela per rifiutare maggiori esborsi al suo paese.

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Warsamé Dini Casali