ROMA – Il mondo è seduto su una montagna di debiti: 52 mila miliardi di dollari è l’ultima stima realizzata da Moody’s (una delle temute/odiate agenzie internazionali di rating). Questa montagna si è raddoppiata negli ultimi 4 anni, nel 2007 valeva 26 mila miliardi di dollari. E’ tanto, è poco, è sostenibile? Diciamo che le cifre, gigantesche, vanno pesate, non solo calcolate. In sé non sarebbe uno sproposito: la quasi totalità del debito mondiale, esattamente l’84%, grava sui paesi ricchi ad alta industrializzazione, Stati Uniti, Europa e Giappone. In questi paesi il debito è quasi sempre superiore al 100% del prodotto interno lordo, nei paesi in via di sviluppo di Asia e Africa mediamente si attesta al 38% della loro ricchezza.
Il passivo degli stati ad alto debito è cresciuto però del doppio rispetto al 2007, cioè in concomitanza con la crisi finanziaria mondiale iniziata negli Stati Uniti. Il problema è la capacità per ogni singola nazione di rimborsare il proprio debito: in presenza di una bassa o addirittura inesistente crescita, la fiducia degli investitori cala e di conseguenza chiedono rendimenti sempre più alti per sottoscrivere obbligazioni sui titoli di stato. Sotto gli occhi di tutti è la crisi attuale di alcuni grandi paesi europei alle prese con rendimenti altissimi sui propri titoli, una crisi di liquidità che si avvicina pericolosamente a una di insolvibilità. L’Italia oggi paga tassi di interesse del 6,79%, la Spagna del 6,54%, il Belgio il 5%, la Francia il 3,5%. Rendimenti altissimi nel confronto con la Germania e gli Usa che pagano il 2%.
In realtà, più che l’ammontare in valori assoluti del debito, è importante, per valutare la stabilità economico-finanziaria di un paese, il rapporto tra il debito pubblico e il Pil. Un’altra chiave di lettura è il rapporto deficit/Pil che annualmente contabilizza la partita doppia tra entrate e uscite dell’amministrazione statale e confronta l’indebitamento annuo con la capacità di produrre ricchezza. In Italia, per esempio, il rapporto debito/Pil è troppo elevato con lo suo 121,1% ; quello della Grecia è addirittura esploso al 152% con seri rischi per un default, che in parte si è già realizzato. Il grado di affidabilità si giudica appunto dalla capacità di un paese di generare risorse, accrescendo la ricchezza nazionale, con la quale potrà far fronte al risanamento e al pagamento degli interessi, grazie magari all’imposizione fiscale sulle stesse accresciute risorse.
