ROMA – Se 232 miliardi (di euro) vi sembran pochi⦠A tanto ammonta la crescita del debito pubblico italiano da quando Silvio Berlusconi ĆØ risalito al potere (maggio 2008). Eppure, pur con tutte le sacrosante critiche che gli si possono muovere, non si può dire che il Berlusconi quarto abbia operato allāinsegna della finanza allegra. Le dimissioni e le minacce di gettare la spugna giunte nei giorni scorsi ne sono unāulteriore controprova: se nāĆØ andato il presidente del Consiglio superiore per i beni culturali, Andrea Carandini, dopo i ripetuti tagli subiti dal ministero del dimissionario Sandro Bondi; minaccia di andarsene Carlo Giovanardi, sottosegretario con delega per la Famiglia, sostenendo che il suo budget ĆØ stato ridotto del 90 per cento. Il ministro dellāEconomia, Giulio Tremonti, viene apostrofato āSignor Noā da molti suoi colleghi di partito che fanno sempre più fatica a sopportare i suoi rifiuti di allargare i cordoni della borsa. I risultati non solo gli danno ragione ma dimostrano che la forbice di Tremonti più che essere una terapia dāurto di lacrime e sangue ĆØ stata una cura omeopatica di fronte alla gravitĆ dello squilibrio dei conti pubblici.
Si dirĆ : ĆØ tutta colpa di un triennio di crisi. Ma ĆØ vero solo in parte: le entrate fiscali non sono poi andate cosƬ male come ci si poteva attendere con questi chiari di luna: nel 2010 sono leggermente aumentare (più 0,3 per cento, escludendo lāeffetto delle una tantum; per lāIrpef addirittura un più 4,4). Si poteva fare meglio se non fosse stata abolita lāIci sulla prima casa, unica imposta āfederalistaā esistente e patrimoniale ordinaria, certo più accettabile di quelle straordinarie di cui si ĆØ straparlato di recente, ancorchĆ© viziata da una base imponibile solo immobiliare e dalle iniquitĆ insite in un catasto con valori aleatori, lontani tra loro per beni simili e con scarse o nulle relazioni con quelli di mercato.
Che fare di fronte a questa inarrestabile deriva del debito pubblico, ormai al 120 per cento del Pil? La strada del continuo innalzamento del debito appare sempre più impraticabile, non ĆØ più nella disponibilitĆ del governo di Roma che negli ultimi due-tre anni aveva potuto permetterrsi di riportare il debito al livello del 1995, dopo che Prodi lo aveva ricondotto con la Finanziaria 2007 al 104 per cento circa. LāUnione europea si appresta a dettar legge: due āpalettiā sono ormai fissati, anche se nei prossimi giorni la trattativa potrebbe approdare ad alcune deroghe.
Il primo vincolo riguarda il percorso di rientro per i paesi il cui rapporto debito/Pil supera il 60 per cento: la parte eccedente, nel nostro caso allāincirca un altro 60 per cento, dovrĆ essere ridotta ogni anno di un ventesimo, vale a dire del cinque per cento. Quanto più aumenterĆ il Pil, tanto meno sarĆ pesante la decurtazione, ma le più ottimistiche fra le previsioni che si possono fare oggi indicano per i prossimi anni tassi di incremento del Pil compresi tra lāuno e il due per cento, certo inadeguati a farci tirare sospiri di sollievo. Non a caso lo stesso Berlusconi ha promesso nei giorni scorsi una āfrustataā allāeconomia, fatta di liberalizzazioni e spesa mirata al rilancio, capace di āportare la crescita oltre il tre-quattro per cento in cinque anniā. Promesse da marinaio, con tutto il rispetto per gli uomini di mare, visti i precedenti e le casse statali vuote.
