Banche. L’allarme liquidità di Draghi. Crolla il colosso Dexia, -30%

Mario Draghi

ROMA – Solo ieri (lunedì 3 ottobre) Mario Draghi lanciava l’allarme sulla mancanza di liquidità delle banche e  sulla necessità di rafforzare la loro dotazione di capitale: stamattina il grande istituto franco-belga Dexia ha visto il suo titolo schiantarsi con un 30% di perdite alla Borsa di Parigi, all’indomani di un consiglio d’amministrazione straordinario che ha lasciato trapelare la possibilità di uno smantellamento. La Dexia era già stata salvata nel 2008 con un’iniezione di 6 miliardi di euro da parte dei governi di Parigi e Bruxelles. Il fatto è che in pancia Dexia ha 3,8 miliardi di euro di “Sirtaki bonds” e 4,8 miliardi di esposizione verso la Grecia.

Un caso esemplare di banca “too big to fail” (troppo grandi per fallire), per le quali Mario Draghi, all’ultima uscita come presidente del Financial Stability Board, sta preparando la creazione di un nuovo standard internazionale che consenta processi di liquidazione di questi istituzioni senza conseguenze in termini di costi per i contribuenti. Il nuovo indirizzo sarà sottoposto all’attenzione del prossimo G20 di Cannes: entro il 2016 le banche più grandi dovranno accantonare fino al 2,5% in più di capitale come protezione dai rischi.

La diagnosi di Draghi evidenzia una cronica mancanza di liquidità e di reperimento del capitale del sistema bancario europeo. La terapia offerta dal prossimo presidente della Bce, per uscire da questa impasse drammatica per i rischi connessi a una nuova crisi globale con epicentro proprio l’ Europa, ha tre linee guida: “Rafforzare il capitale delle banche, rendere più stringente la disciplina del bilancio pubblico e irrobustire la governance economica dell’Unione Europea”. Quindi tagli  e controllo rigoroso della spesa pubblica dei governi nazionali, maggiore integrazione e coordinamento delle scelte economiche a livello continentale. Ma nella questione urgentissima dell’anemia bancaria, della difficoltà del sistema interbancario (le banche non si prestano più soldi) “è molto difficile distinguere se i problemi di funding sono meri problemi di liquidità o se provengono dalla mancanza di fiducia, in ogni caso il mercato interbancario deve riprendere a funzionare perché è vero che negli ultimi mesi l’avversione al rischio è cresciuta drammaticamente”.

E’ anche vero che il balletto delle decisioni sempre attese e costantemente rinviate non aiuta. Draghi non ha risposto, a chi come il giornale Der Spiegel, ha anticipato la sua non contrarietà a dotare il fondo salva stati da 440 miliardi di licenza bancaria in modo che questa banca abbia accesso al rifinanziamento della Bce. Sul fondo Efsf non può ancora esprimersi, l’incarico alla Bce sarà suo a novembre: intanto l’Economist non ha tutti i torti a chiedere se ci sia qualcuno allora che se ne incarichi (Is anyone in charge?).

Per quanto riguarda la situazione interna, a Draghi ha risposto  il presidente dell’Abi e di B.Mps, Giuseppe Mussari: “Al momento in Italia non mi risultano problemi di funding”. Rassicurante? Intanto registriamo che Goldman Sachs ha certificato ufficialmente la stagnazione nel 2012 dell’area euro con un Prodotto Interno Lordo che crescerà di un misero 0,1%.

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Warsamé Dini Casali