La crisi economica attraversata attualmente dalla Grecia scuote le fondamenta, economiche e politiche, dell’Unione Europea. Cosa accadrà quando il governo di Atene dovrà dare nei prossimi mesi prove convincenti della buona riuscita del suo piano e di una rinnovata credibilità finanziaria? Riusciranno gli amministratori ad evitare il collasso del paese? E, se accadesse l’inevitabile, se la Grecia andasse cioè in bancarotta, quali saranno le ripercussioni sul resto della zona Euro?
La domanda della possibile bancarotta della Grecia è la classica questione a cui nessuno risponde, ma che ognuno, dietro le quinte, cerca di anticipare. Si sa che il celebre patto di stabilità , impone a tutti i membri dell’Unione Europea che nessun paese si sobbarchi i debiti contratti da un’altra nazione. Secondo Maastricht, dunque, se la Grecia fallisse, Bruxelles dovrebbe guardare l’incendio senza chiamare i pompieri. Dura lex sed lex.
Le cose in teoria stanno così. Con un particolare: oggi nessuno crede più veramente a quel patto di Stabilità (come tra l’altro dimostrano le numerose infrazioni che negli anni i governi di tutta Europa hanno commesso). Ma, soprattutto, tutti sanno che se la Grecia fallisse i contraccolpi si sentirebbero anche a Roma, Berlino, Parigi. Sarebbe ipotizzabile perfino una reazione a catena sui mercati finanziari come quella scatenata dalla bancarotta di Lehman Brothers nel 2008. In fondo, anche in Germania sono pronti ad ammetterlo, la proverbiale credibilità dei conti tedeschi peserebbe di meno, sul piatto della bilancia, di un imprevedibile e generalizzato caos finanziario europeo. E’ per questo che un gruppo top-secret di una decina di esperti si occupa da settimane delle misure da prendere nel caso di un’eventuale bancarotta greco. Nelle sue fila si trovano responsabili dei Ministeri delle Finanze europei e rappresentanti della BCE e della Commissione Europea. Jörg Asmussen, alto funzionario della Ministero delle Finanze tedesco, ha recentemente dichiarato, in maniera informale, che, in caso di bisogno, « avremmo la somma richiesta in 48 ore ».
Questa storia mette alla luce del giorno l’intricata situazione dell’Euro, ne rivela tutte le debolezze, i rischi che incombono e che potrebbero un giorno, se non fossero prese le contromisure adeguate, portare al ritorno delle valuta nazionali.
Le minacce alla moneta unica europea sono infatti numerose e arrivano da diverse sponde. Da una parte gli ormai tristemente celebri speculatori dei potenti Hedge Funds (i fondi di investimento che svolgono operazioni ad altissimo rischio). Alcuni di loro, specie in America, hanno da anni puntato sulla morte dell’Euro e faranno di tutto perché questa si avveri.
Si tratta di qualcosa di più di un sospetto. Il ruolo della Goldman Sachs nella crisi greca ne è una prova. Inoltre, a scala più globale, un investigazione del Dipartimento di Giustizia americano ha rivelato che alcuni finanzieri potrebbero aver assunto un attitudine addirittura cospiratoria. Le autorità credono che gli hedge funds gestiti dal potente John Paulson e dall’illustre George Soros (già celebre, grazie alle sue manovre speculative che portarono alla svalutazione della sterlina negli anni novanta come « l’uomo che distrusse la Banca d’Inghilterra ») stavano progettando un attacco concertato contro l’euro.
Dall’altra parte ci sono i nemici interni. Un acronimo infelice illustra questa situazione: Piigs. Si tratta degli ultimi della classe nel registro di Bruxelles. Sono Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna, tutte quelle nazioni con i conti non a posto, che potrebbero trasformare l’Europa in una polveriera finanziera.
Perché se è vero che i parametri di Maastricht impongono una serie di severe misure, è anche vero che questi lasciano ai paesi un ampio margine di manovra. Ogni nazione può, in parole semplici, comportarsi in maniera disinibita senza che la Banca Centrale o la Commissione possano mettere bocca. L’esempio della Grecia è per certi aspetti comico quanto istruttivo. Il governo di Atene ha per anni adottato delle pratiche al cui confronto la nostra finanza creativa impallidisce. Uno degli apici lo si è raggiunto quando per far sì che il debito rimanesse nelle statistiche al di sotto del 3 per cento si calcolarono anche le cifre della prostituzione e delle scommesse illegali.
Nessuno ha il coraggio di dirlo, ma è chiaro: l’euro è una creatura debole e la battaglia della moneta unica è lontana dall’essere vinta. Fino ad oggi l’adozione di una stessa valuta non ha portato, nella politica economica dei singoli paesi, ai cambiamenti necessari e conseguenti che ci si sarebbero aspettati. Ognuno ha continuato, semplicemente, a fare, nel bene e nel male, come aveva sempre fatto. Quello che serve perché l’Europa sia fuori da ogni rischio è l’unità politica. Altrimenti l’unità valutaria resterà solo la facciata di un palazzo bello ma fragile.