ROMA – Dai 50 anni in poi il salario di un lavoratore dovrebbe scendere. Non è la sola a pensarlo, però se a dirlo è il ministro del Lavoro, se è la stessa Elsa Fornero che in pensione ti ci manda sempre più tardi, l’interessante discussione accademica diventa un altro segnale di allarme. Ma come, si è indotti a pensare, da una certa età in poi con più preoccupazione, invece di alzarci gli stipendi vogliono alleggerirci ancora la busta paga? Per ora il progetto cui pensa Fornero, è relegato appunto alle analisi teoriche, ma ogni tanto ne riparla anche in pubblico. A Rimini, al meeting di CL, a Roma in un’intervista, l’obiettivo ribadito da Fornero è modificare la curva retributiva: Franco Bechis di Libero ha sottolineato la circostanza per criticarne l’approccio velleitario al più volte decantato “modello tedesco”, un provvedimento che avrebbe solo un effetto boomerang.
Sostiene Fornero: “Ci sono rigidità per cui la retribuzione cresce sempre ma non la produttività. Una crescita per la quale i lavoratori anziani finiscono con il costare troppo a fronte di una produttività discendente e dunque con l’essere spinti fuori”. Il governo si pone quindi l’obiettivo di “correggere questo meccanismo e prevedere la possibilità di impiegare i lavoratori anziani senza espellerli dal ciclo produttivo”.
In Germania e soprattutto in Gran Bretagna la curva retributiva in una carriera lavorativa ha la forma di una U rovesciata: si inizia con basse retribuzioni, si raggiunge un picco tra i 35 e i 40 anni quando si è massimamente produttivi, si prosegue con una decurtazione in corrispondenza dell’avanzare degli anni e del calare della produttività. In Italia non abbiamo curve: una linea retta inclinata verso l’alto: si inizia con redditi bassi, i quali crescono in maniera progressiva all’avanzare dell’età. Un criterio meramente anagrafico, sganciato dall’effettivo peso del lavoratore, sempre in termini di produttività, all’interno dell’azienda.
Per Fornero va cambiato sistema, per due motivi, strettamente intrecciati e proprio perché connessi con la necessità che un lavoratore resti attivo fino a 66 anni e domani a 70 anni. Primo, incentiva licenziamenti, anche perché i prepensionamenti dei più anziani lo Stato non vuole più accollarseli. La spesa sostenuta per retribuire lavoratori over/qualcosa viene considerata dal datore di lavoro troppo onerosa costringendolo a fare una scelta: disfarsi del più vecchio, costoso e meno produttivo a vantaggio del più giovane, che deve pagare meno e rende di più. Secondo, con la riforma delle pensioni le cose sono destinate a cambiare. Se vogliamo che si resti di più al lavoro, il lavoratore deve rassegnarsi a guadagnare di meno per mantenere il posto: deve per questo, essere avviato alla formazione del personale o altri ambiti meno coinvolgenti, magari, perché no, part time. Deve accettare una certa flessibilità, di salario e tempo di lavoro, per evitare la precarizzazione totale.
Va detto, però, che i motivi della maggiore produttività tedesca non sono imputabili esclusivamente alla curva retributiva di versa dal modello lineare italiano. Giocano altri fattori, come una diversa logica contrattuale, investimenti in tecnologia e qualità che garantiscono la competitività. Senza contare un dettaglio non da poco: in Italia le retribuzioni mensili nette sono in media inferiori del 20 per cento a quelle tedesche, del 20 a quelle britanniche e del 25 a quelle francesi. Guardando la curva, un lavoratore tedesco a fine carriera guadagna circa come un italiano all’apice.