ROMA – Il prossimo 5 maggio Roberto Poli lascerà il vertice dell’Eni, di cui è stato presidente per 9 anni. Intervistato da Daniele Manca per Il Corriere della Sera Poli spiega che all’estero Eni fa gola a molti.
Poli commenta i risultati Eni e pone degli obiettivi: “Crescita ed espansione all’estero. La produzione di idrocarburi è aumentata del 23%, ma in Italia ne realizziamo oggi solo il 10%rispetto al 21%del 2002. Le vendite di gas sono cresciute del 50%, ma quando sono arrivato le vendite in Italia rappresentavano l’ 81%e oggi il 35%del totale”.
“Ho difeso con determinazione l’integrità del gruppo in tutte le sue componenti, perché ritengo che questo sia un modello vincente che rende Eni un unicum al mondo: oil company, utility europea, impresa di ingegneria e costruzioni e detentrice di una vastissima rete di trasporto gas, in Italia e all’estero. In tutti questi settori Eni è uno dei primi quattro-sette operatori al mondo. Tutti settori che hanno creato valore. Nel 2010 il TSR di Saipem (rendimento complessivo del titolo) è stato del 56%, quello di Srg del 14%. Sarebbe un errore storico qualunque “spezzatino”. Eni, una volta separate le attività italiane regolate, diventerebbe un oggetto più facilmente integrabile in un altro gruppo mondiale concorrente estero su estero”.
Poi Poli spiega: “Non si distrugge una costruzione strategica originale soltanto perché le singole parti rese indipendenti potrebbero in teoria valere sul mercato più del totale. Se le strategie di lungo periodo le fa il mercato che guarda al breve periodo allora è finita la libertà di organizzare un’impresa secondo modelli originali che guardino al futuro ed assicurino agli azionisti risultati di lungo periodo. Del resto in Italia abbiamo già perso troppe imprese con operazioni puramente finanziarie. Giusto creare valore ma aggiungendoci anche il concetto di lungo periodo”.
“È fondamentale per il futuro della permanenza di Eni in mani italiane. Eni garantisce l’approvvigionamento energetico del Paese. Attualmente la golden share è sotto attacco della Corte di Giustizia Europea e nessuno può escludere che l’Italia sia costretta a rivederla. Ma sia l’assetto azionario di Eni, sia il quadro normativo tutelano la società da possibili manovre aggressive. Certo, non sono da escludere in futuro evoluzioni normative, magari imposte dall’Unione europea che potrebbero far aumentare i rischi di perdita del controllo da parte italiana. Però, a fianco della presenza dello Stato nel capitale occorre assicurare al management l’indipendenza nella gestione, senza interferenze, fermo restando che l’azionista Stato lo può cambiare se ritenesse l’impresa non ben gestita o non in linea con gli obiettivi nazionali”.