ROMA – Per recuperare le entrate, Comuni e Regioni aumentano le bollette fino al doppio dell’inflazione. Sui rifiuti, in cinque anni, le tariffe sono cresciute del 29%. Così capita che Comuni quasi falliti finiscano tra le amministrazioni virtuose.
Come spiegano Sergio Rizzo e Mario Sensini per Il Corriere della Sera, l’elezione diretta di sindaci e governatori e la riforma del Titolo V della Costituzione, voluta nel 2001 dal centrosinistra, hanno dato agli amministratori locali maggiori poteri. Oggi gli italiani pagano, a livello locale, un esorbitante numero di 45 tributi, tra tasse, canoni, addizionali, con la pressione fiscale complessiva schizzata nel 2009 al 43,5%, al terzo posto fra i Paesi dell’Ocse.
Succede quindi che due Comuni praticamente falliti finiscano nell’elenco delle amministrazioni più virtuose, quelle premiate dallo Stato con la possibilità di spendere più soldi rispetto ai limiti ferocemente imposti dal Patto di Stabilità. Nella lista per esempio c’è anche Catania. La città dove il sindaco Raffaele Stancanelli, eletto a metà 2008, denunciò un miliardo di debiti nascosti nelle pieghe del bilancio. Dove il suo predecessore era inseguito da creditori di tutte le specie. Dove le strade erano al buio perché non erano state pagate le bollette dell’Enel. Ma il bilancio di quel 2008 appariva talmente in ordine da far guadagnare a Catania un premio da 983.411 euro. Premio negato a città mai censurate per cattiva amministrazione, come Sondrio, Belluno, Asti.
Discorso analogo per Taranto, comune dichiarato ufficialmente in dissesto finanziario e sommerso da un debito di 616 milioni di euro. A Taranto 23 dipendenti dopo essersi aumentati lo stipendio da soli rubando alle casse municipali 5 milioni, restarono al loro posto. Eppure due anni dopo la città ha incassato un bel premio da 1.378.069 euro.
Dal 2001 ad oggi metà della spesa pubblica è passata dal centro alla periferia, ma il compito di tassare i contribuenti è rimasto allo Stato, perché Regioni, Comuni e Province sono responsabili solo del 18%delle entrate. La finanza locale è diventata ancora più disordinata. Quindi oggi gli italiani si trovano appesantiti da una cascata di tasse.
Per recuperare denaro i sindaci hanno dato sfogo alla fantasia. Alcuni hanno anche rispolverato la “tassa sull’ombra” del 1972, che colpisce “la proiezione sul suolo pubblico di balconi, tende e pensiline”. Con le casse sempre più vuote gli enti locali hanno di fatto scaricato sui cittadini i sacrifici imposti dal governo centrale. Aggirando ad esempio il blocco delle addizionali comunali sull’Irpef, in vigore dal 2008, aumentando le tariffe.
Anche i governi però ci hanno messo del loro. Per esempio con l’abolizione dell’Ici sulla prima casa. E pazienza se, come rivelava uno studio dell’Ifel, l’istituto di ricerca dell’Anci, tra il 2004 e il 2009 le tariffe comunali sono cresciute a una media del 3,5%annuo. Il doppio dell’inflazione, con punte stratosferiche per i rifiuti (+29%tra il 2004 e il 2009, e continuano ad aumentare) e i servizi idrici, le cui tariffe crescono in media del 5% l’anno. Dopo l’immondizia e l’acqua, l’ondata dei rincari nel 2010 e in questo primo scorcio del 2011 si è abbattuta su asili nido, mense scolastiche, piscine e impianti sportivi, musei, servizi cimiteriali, trasporto locale.
Nel Milleproroghe approvato dal Senato c’è una nuova sorpresa: tutti i Comuni, anche quelli che non si trovano in emergenza rifiuti, potranno aumentare le tariffe fino a coprire l’intero costo del servizio. Il caso dell’Ama, che oltre ad essere l’azienda municipalizzata per l’ambiente del Comune di Roma è anche uno straordinario collettore di voti, forse vale per tutti come cattivo esempio di amministrazione. Il bilancio del 2008 si è chiuso con una perdita di 257 milioni di euro. E il 2009 sarebbe stato archiviato con un altro buco di 70 milioni, senza il contributo di 30 milioni erogato dal Comune e l’aumento delle tariffe per ben 40,8 milioni di euro. Tutto questo mentre i crediti verso gli utenti morosi aumentavano, in dodici mesi, di 108 milioni, raggiungendo la cifra astronomica di 623 milioni di euro. La circostanza non ha comunque impedito all’azienda di assumere nuove legioni di dipendenti: 91 nel 2008, 489 nel 2009, 766 nel 2010. Impiegati, netturbini, perfino 164 spalatori di foglie ingaggiati in un colpo solo.
Per rendersi comunque conto del disordine che regna negli enti locali del nostro Paese è sufficiente dare uno sguardo a una tabella elaborata dal senatore del Pd, Marco Stradiotto, componente della Bicamerale sul federalismo, sui dati del ministero dell’Interno. Si scopre, per esempio, che su ogni cittadino di Cosenza grava un costo del personale comunale di 506 euro l’anno: quasi il doppio rispetto a una città poco più grande come Cesena (271 euro), e addirittura il 117%in più nei confronti di Catanzaro (233).
Per non parlare delle differenze macroscopiche che ci sono fra Regione e Regione. La Sicilia, con metà dei residenti della Lombardia, sopporta una spesa per il personale regionale nove volte superiore (un miliardo 782 milioni contro 202 milioni). E investe nelle infrastrutture ferroviarie 13,9 milioni l’anno, 57 volte meno della Lombardia (786 milioni).