Fanno oggi 30 anni da quella che viene ricordata come la “marcia dei 40 mila”, quando sfilarono nelle strade di Torino decine di migliaia di cittadini, molti dei quali dirigenti e quadri della Fiat occupata da 35 giorni dagli operai in sciopero, molti però anche cittadini di ogni ceto esasperati dai clima di intimidazione e violenza sindacale che si respirava nella città da anni.
In effetti è una data storica, perché segnò un ritorno alla normalità della vita non solo nelle fabbriche Fiat ma nell’intera Italia ma segnò anche un ridimensionamento complessivo del ruolo del sindacato, che non colse l’occasione per imboccare una strada di maggiore modernità, bensì scelse di arroccarsi in una specie di riserva indiana in cui il padronato lo ha massacrato e lo massacra, incapace di cogliere il senso della nuova evoluzione della economia italiana e mondiale.
Le rievocazioni e le celebrazioni si sprecano e anche Blitzquotidiano non ne è stato esente.
Nella data dell’anniversario, può essere interessante scoprire un particolare inedito, rivelato dall’agenzia di stampa Ansa: nell’autunno del 1980, mentre era in corso la vertenza che sarebbe sfociata nella marcia e nella resa del sindacato, il ministro del lavoro dell’epoca, Franco Foschi pensò di procedere al commissariamento della Fiat, restia ad accettare la sua mediazione.
Foschi, che è morto di recente ed è anche risultato iscritto alla loggia di Licio Gelli, la P2, era della corrente di Carlo Donat Cattin, torinese, leader della sinistra dc, uno dei politici italiani più ostili alla Fiat.
Fanno fede delle brutte intenzioni del ministro due testi di decreto legge, finora inediti, che l’Ansa ha avuto dalla Fondazione Bruno Buozzi. Furono preparati dall’ufficio legislativo del ministro Foschi alla fine di settembre, nei giorni caldi che precedettero la marcia dei quarantamila. I documenti, scritti dal capo di gabinetto di Foschi, Carlo Gessa, erano tra le carte di Foschi e sono conservati dalla Fondazione con manifesti, volantini e comunicati di quei giorni.è
La Fiat non è citata esplicitamente, ma il riferimento è evidente. ”I decreti legge cadono a pennello per l’azienda torinese – spiega Giorgio Benvenuto, presidente della Fondazione Buozzi – e il ministro Foschi ne parlò con la Fiat e con i sindacati. Non riusciva a uscire fuori da quella situazione, si era trovato solo e senza copertura politica. Preparo’ quei decreti per convincere la Fiat ad accettare la sua mediazione”.
Il primo testo cita nel preambolo gli articoli della Costituzione 77 (emanazione dei decreti legge), 87 (il presidente della Repubblica), 41 (”L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale…”) e 43 (”A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori e utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio e abbiano carattere di preminente interesse generale”).
”Le imprese che svolgano attività produttive e rendano servizi di rilevanza nazionale – dice il primo articolo del decreto legge – allorché vengano gestite con criteri o assumano iniziative in contrasto con le finalità di utilità sociale costituzionalmente garantite, provocando allarme sociale, sono soggette alla procedura stabilità dagli articoli seguenti”.
La procedura, in base all’articolo 2, prevede che il Consiglio dei Ministri, su proposta del ministero del lavoro, nomini ”una Commissione composta da un rappresentante del governo, da quattro senatori e quattro deputati, da tre rappresentanti delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale, da tre rappresentanti delle imprese, con il compito di accertare la reale situazione dell’impresa stessa in relazione anche alle finalita’ di utilita’ sociale che essa deve perseguire”.
La Commissione, entro il termine perentorio di 30 giorni – dice l’articolo tre – presenta al presidente del Consiglio ”una circostanziata relazione sull’attività dell’impresa”. A quel punto (articolo 4), il presidente della Repubblica ”può nominare un commissario straordinario per la gestione dell’impresa con il compito di ristabilire nell’impresa stessa le condizioni perche’ assolva ai compiti di utilità sociale garantiti dalla Costituzione con specifico riferimento alla salvaguardia del lavoro”.
L’altro schema di decreto legge ha un articolo unico: ”fino a quando non saràentrata in vigore in materia di mobilita’ dei lavoratori apposita legge formale, è nullo qualsiasi accordo stipulato in qualsivoglia sede tra le parti sociali, che preveda e disciplini … la mobilità dei lavoratori dipendenti da un’impresa ad altra impresa”.
”La Fiat rifiutò Foschi come interlocutore – ricorda Enzo Mattina, uno dei tre leader del sindacato unitario Flm – e il ministro era in difficoltà, si sentiva pressato. Nei negoziati al ministero ci disse che avrebbe fatto ‘qualcosa di pesante’ per smuovere la Fiat. L’azienda reagì con un atteggiamento molto aggressivo. La sua preoccupazione fece precipitare le cose”.
”Quei decreti sono una minaccia, una forzatura – commenta Franco Bentivogli, anche lui segretario generale Flm – non si sarebbe mai arrivati a questo. E’ vero però che il ministro Foschi fece i salti mortali per arrivare a un accordo decoroso, ma la sua proposta, che era di grande apertura, fu respinta dalla Confindustria e, non dimentichiamolo, anche dai sindacati torinesi”.