ROMA – Più che periferia di Detroit, Torino e mezzo Piemonte potrebbero diventare un deserto industriale nel caso in cui la Fiat di Sergio Marchionne decidesse davvero di voltare le spalle all’Italia. L’incontro tra Marchionne ed il Governo, per chiarire la situazione Fiat, ha lasciato molti dubbi, poche chiarificazioni, specie per la vicenda della sede. “Abbiamo il cuore in Italia”, hanno detto i vertici del Lingotto dopo la riunione, ma i punti oscuri restano eccome.
Secondo quanto scritto sul Fatto Quotidiano, in ballo non ci sono solo gli stabilimenti di Mirafiori con i 5 mila dipendenti, i centri di ricerca e innovazione, la progettazione, gli uffici della finanza e dell’amministrazione. Di mezzo ci sarebbe anche tutta quella galassia di piccole e piccolissime aziende che vivono in simbiosi con la casa madre dell’auto, 2.400 imprese metalmeccaniche, tessili, della gomma, della plastica, dei servizi.
Le fabbrichette delle varie cinture torinesi che per l’auto Fiat producono dai bulloni ai sedili, dagli specchietti retrovisori ai fari, il gigantesco indotto con oltre 23 miliardi di euro di giro d’affari all’anno e 100 mila dipendenti se si contano anche quelli impiegati nelle società di persone. Un numero di lavoratori 20 volte più alto di quello che ogni giorno varca i cancelli di Mirafiori.
Spiega Massimo Guerrini, vicepresidente dell’Api di Torino, l’associazione più rappresentativa dei piccoli imprenditori: “Dicono che a Mirafiori si farebbe un tipo di Suv, forse due. È già qualcosa, per carità. Ma è chiaro che se il quartiere generale Fiat dovesse lasciare Torino si creerebbe inevitabilmente un nuovo indotto altrove o si rafforzerebbero quelli esteri esistenti, mentre le piccole imprese locali salterebbero una dopo l’altra. Sarebbe un disastro per la città e l’area circostante”.
Torino già da anni è squassata da una crisi che si somma a quella nazionale e internazionale. In città ci sono 30 mila alloggi sfitti e nel 2010 ci sono state oltre 3 mila esecuzioni immobiliari di imprenditori e cittadini che non ce la facevano più a pagare il mutuo del capannone o della casa. Il responsabile dell’ufficio studi della piccola e media impresa, Fabio Schena, informa che l’anno passato addirittura un terzo delle imprese torinesi ha fatto ricorso alla cassa integrazione e un sondaggio sulle intenzioni dice che il 22,3 per cento prevede di fare di nuovo uso degli ammortizzatori sociali nel corso del primo semestre 2011.
Le difficoltà investono in pieno le aziende dell’indotto Fiat. Secondo dati della Camera di commercio di Torino che prendono in considerazione solo le società di capitali ed escludono quelle di persone, negli ultimi 5 anni il numero di aziende piemontesi della filiera dell’automobile è sceso da 1.471 a 880 unità, le imprese della componentistica da 587 sono diventate 324, mentre i sub fornitori erano 884 e ora sono 556.
Alcune aziende, per resistere, hanno cominciato a guardare fuori Torino e oltre il Piemonte, tentando di recidere o allentare il cordone ombelicale con la Fiat e diventando fornitrici di altre case automobilistiche. Ma è un processo complicato e non sempre possibile. Di fatto la capacità di esportazione delle piccole imprese del nord-ovest rimane molto più bassa di quella del nord-est e l’eventuale partenza della Fiat sarebbe il colpo di grazia per un tessuto industriale monoproduttivo, cresciuto intorno a una sola grande impresa.
