Statali licenziabili: Monti manda avanti Fornero per vedere l’effetto che fa

ROMA -“Ministro dei licenziamenti” è stata prontamente ribattezzata Elsa Fornero: titolare del Lavoro, vuole che le nuove norme che facilitano i licenziamenti economici nel settore privato vengano estese anche al pubblico. Uniformità di trattamento è la parola d’ordine. Non la pensa così, oppure se la pensa così dovrebbe smentire se stesso e un accordo già raggiunto, il collega  alla Funzione Pubblica Patroni Griffi: la questione è stata affrontata e risolta nel testo predisposto nella legge delega. Legge delega sui dipendenti pubblici che porterà la sua firma e per la quale si è già impegnato più volte a sostenere l’illicenziabilità del dipendente pubblico.

Sicuri che nessuno evocherà difetti nella comunicazione politica, aspettiamo che in Consiglio dei Ministri Mario Monti troverà una sintesi efficace alla dicotomia, o contrapposizione, o diversità di vedute dei suoi ministri. Compito arduo come lo è sempre conciliare gli opposti. Già, ma come la pensa, in merito, il presidente del Consiglio? L’impressione è che le incursioni a briglia sciolta di Fornero sembrano un po’ eterodirette dal suo “capo”: Monti evita di entrare direttamente in polemica, ma sui licenziamenti, tutti i licenziamenti, non manca mai di evocare la flexsecurity e i suggerimenti/ordini di Fmi e Ocse, “che non hanno a cuore interessi di categoria ma interessi generali”.

Incassato un sì tutt’altro che scontato su un articolo 18 un po’ meno impermeabile sui licenziamenti economici per i dipendenti privati, affrontare lo stesso tema sul pubblico avrebbe seriamente messo a rischio la tenuta della sua maggioranza, già sfibrata e tramortita da un grado zero di consenso nel Paese. Culturalmente Monti è per la parità tra pubblico e privato, cosa peraltro prevista (lo Statuto dei lavoratori lo prevede già) e sostanzialmente inapplicata. Per opportunità politica non lo può dire con nettezza. Manda avanti Fornero ma lascia sguarnita e indifesa la posizione del ministro Patroni Griffi. Che giustamente ha chiesto di riparlarne a quattr’occhi in Consiglio di Ministri.

E’ o non è lui il titolare della delega? Questo dei licenziamenti nel pubblico non era un capitolo chiuso? A fine marzo si era speso con forza per tranquillizzare gli statali: state tranquilli, perché la normativa che vi riguarda esiste già ed è ben disciplinata. Il licenziamento per motivi economici non “può trovare applicazione nel pubblico”, in quanto in questi casi c’è “una disciplina ad hoc”: scatta, infatti, una serie di procedure “che portano alla mobilità dei lavoratori presso altre amministrazioni e alla eventuale collocazione in disponibilità con trattamento economico pari all’80% dell’ultimo stipendio per due annualità”.

Vero, anche se bisognerà vedere, rammenta con un pizzico di perfidia Fornero, cosa succederà quando i risultati della spending review saranno disponibili. “Sarà tostissima, ci sarà un taglio fortissimo sulla spesa pubblica improduttiva e sugli sprechi”, dice il ministro. A quel punto una diversa allocazione del dipendente e una decurtazione del 20% dello stipendio potrebbe essere il rifugio lavorativo per pochi superstiti. In ogni caso il nodo verrà al pettine e se si vuol dire, come intende Patroni Griffi, che nessuno verrà licenziato nel pubblico per motivi economici, il concetto andrà scritto nero su bianco, come notava l’economista Tito Boeri, che non è mosso da “furore ideologico” sui licenziamenti,  servirà una legge ad hoc.

A livello costituzionale si potrebbe configurare un vero rebus senza provvedimenti espliciti in riferimento al pubblico. Secondo la giurisprudenza in vigore non è così semplice, visto che la Corte di Cassazione (il livello più alto di somministrazione delle sentenze) ha più volte stabilito che lo Statuto dei lavoratori si applica anche al settore pubblico. Il Testo unico del 2001 ha sancito la parità con il settore privato, peraltro dopo che nel ’93 era stata stabilita la natura di tipo privato del contratto con la pubblica amministrazione. Questa parificazione era servita come misura più favorevole al dipendente pubblico nei casi di risarcimento rispetto a un danno subito. Il Testo Unico ha fatto di più: ha recepito integralmente la legge 300 del 1970, ossia lo Statuto dei Lavoratori, in cui, ovviamente è compreso l’articolo 18.

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Warsamé Dini Casali