Sul Corriere c’è anche il commento di Massimo Mucchetti, secondo il quale le reazioni all’intervista di Bolloré “allargano lo strappo prodotto” dalla sua astensione sul bilancio 2010 e ora “il conflitto rischia di paralizzare la compagnia e Mediobanca, sua principale azionista”.
Mucchetti, che ama gli scenari, scrive: “Siamo forse al gran finale del dopo Cuccia, che si è già rivelato più lungo e complesso di quanto avessero previsto coloro i quali, nel 2003, licenziarono Vincenzo Maranghi, delfino del fondatore di Mediobanca. Il dopo Cuccia avrebbe dovuto essere governato da Cesare Geronzi in Mediobanca e poi in Generali secondo modi ordinati e per fini condivisi. «Vengo a Milano come pacificatore» , era il suo motto. Ma al dunque la stagione del power broker romano senza più Capitalia è stata segnata da ripetuti ed evidenti contrasti con i manager delle due società e con un certo numero di investitori nel 2009; nel 2010 e oggi, la forte pressione messa al capo azienda di Generali, Giovanni Perissinotto. L’instabilità però indebolisce le due società, esponendole a rischi diversi, tra cui la subordinazione della compagnia alla francese Axa, che in Italia è compratrice. Le attuali compagini azionarie di riferimento mostrano segni vistosi di logorio. Il 13%delle Generali in mano a Mediobanca resta un presidio, ma relativo. Nel 2003, quando Unicredit, Capitalia e Monte Paschi comprarono Generali, fu lo stesso Maranghi, che quel pacchetto aveva pazientemente costruito, ad alzare bandiera bianca perché non bastava a difendere la posizione a Trieste. L’anno scorso, Nagel subì il trasloco di Geronzi alla presidenza di Generali, non potendone contrastare i fautori tra i quali, allora, si contò il ministro dell’Economia”.
Consoliamoci, sembra dire Mucchetti: “Il tempo passa velocemente. Oggi gli investitori privati sono meno convinti e più divisi. Giulio Tremonti prepara leggi antifrancesi. E Fabrizio Palenzona propone una Mediobanca che si allea con i privati in grado di durare: la Fondazione Crt, Caltagirone, magari altri. Ma per mettere in sicurezza le Generali secondo questo schema privatistico, che non chiede l’ombrello del governo, ma ne ha la benedizione, bisogna che in Mediobanca regni la pace. Se Bolloré vota in un modo e Nagel in un altro, tutto vacilla. In Mediobanca, del resto, si va a un chiarimento. Giustificare ancora Bolloré e i suoi amici di Groupama in un sindacato azionario che appoggia il management guidato da Nagel è sempre più ardito”.
La compagine azionaria di Mediobanca, ricorda Mucchetti, è suddivisa in quattro blocchi: i francesi all’ 11%, Unicredit con Ligresti al 12%, i numerosi soci industriali con Berlusconi e Doris al 20% e, fuori patto, le fondazioni bancarie al 12%. Le possibilità sono due: o i francesi vendono a investitori graditi, a cominciare da Della Valle, già pronto a comprare, oppure il patto viene ricostituito senza i francesi. In questo caso, il patto scenderebbe dal 44 al 35%oppure risalirebbe imbarcando in tutto o in parte le fondazioni.