MILANO – Il ruolo del riccone francese Vincent Bolloré nelle vicende dell’alta finanza italiana ha riscaldato l’atmosfera degli ex salotti buoni italiani. Bolloré non è un miliardario qualunque: possiede il 5% di Mediobanca, di cui è consigliere e componente del comitato esecutivo ed è vice presidente delle Generali.
La vicenda ha fatto salire la temperatura già alta da un po’ di tempo per effetto delle incursioni verbali del magnate italiano delle scarpe Tod’s, Diego Della Valle, su Corriere della Sera e Generali.
L’ultima puntata della saga si è aperta sabato 19 Marzo con l’intervista data da Bolloré al Corriere della Sera, in cui ha spiegato perché pochi giorni prima si fosse astenuto dal votare sul bilancio del 2010 delle Generali.
Intervistato da Giuliana Ferraino, Bolloré ha detto: “Quando le cose non sono chiare, il dovere di un amministratore è di dirlo in consiglio e se non è seguito da altri, di astenersi, anche se ciò non fa piacere a una manciata di personaggi influenti”. Non è vero, ha detto Bolloré, che porta “scompiglio nelle Generali per vendere meglio” le sue azioni Mediobanca: ci sono state lettere dell’Isvap, l’Istituto che controlla le assicurazioni private, e le dimissioni di Leonardo Del Vecchio, principale azionista di Luxottica.
Al centro della polemica c’è l’espansione delle Generali nei paesi dell’Est europeo. Bolloré si è detto d’accordo sulle linee strategiche, ma non ha risparmiato critiche al management e “dubbi sugli accordi passati con Ppf [la joint venture con il ceco Petr Kellner]”, che giudica “squilibrati”. Di più: “Un nuovo investimento importante di parecchie centinaia di milioni è stato realizzato in una società [lo 0,9% della banca russa Vtb] che Bolloré giudica “sopravvalutata”: “Per me le grandi aziende italiane quotate in Borsa non sono e non devono diventare luoghi non collegiali o non trasparenti in cui qualcuno gestisce le cose a modo suo”, menre, sull’affare Vtb, solo “dopo molte discussioni difficili, il management ha infine accettato di aggiungere nelle ultime righe del comunicato che l’impegno di Generali rappresenta potenzialmente 3 miliardi di euro per uscire. Non è una piccola somma per un Paese straniero e con una partita collegata. Questo meritava una discussione” e indica necessità, secondo Bolloré, di “più trasparenza”.
Bollorè conclude l’intervista anche con una dura crtica a a Diego Della Valle e loda Cesare Geronzi, presidente di Generali, i rapporti col quale erano parsi a qualcuno meno caldi che in passato: “Geronzi ha lavorato molto bene a Mediobanca e sta facendo bene in Generali”, mentre nella polemica di Diego Della Valle contro Geronzi, “le questioni di forma e di relazioni personali non devono nascondere le questioni di fondo: il tema fondamentale è il buon andamento di Generali” e la “sua gestione finanziaria deve essere esemplare”, per cui “Della Valle dovrebbe occuparsi più di questo aspetto”.
Rivendicando per Generali e Mediobanca, azionisti di lungo termine, il merito di dare “stabilità e sicurezza a Rcs”, Bolloré dà poi il colpo più duro: Della Valle “è in conflitto di interesse quando chiede a Generali di vendere le sue azioni RCS, che com’è noto controlla il Corriere della Sera, di cui lui è già azionista, dichiarando poi di voler giocare un ruolo sempre più importante. Non solo. Credo che sia socio di Generali in altri attività finanziarie e molto vicino a certi manager. D’altra parte non mi pare abbia ancora investito denaro in Generali”Qui Bolloré va un po’ fuori del seminato, perché anche lui quanto a potenziali conflitti di interesse non scherza, visto che la sua Havas ha avuto il budget della comunicazione di Che Banca, di Mediobanca. Certo Havas è una grandissima azienda, però forse era meglio evitare.
La cronaca della saga prosegue sui giornali della domenica. Sergio Bocconi, sul Corriere, raccoglie le reazioni all’intervista: “È scontro aperto in Generali”, dove alcuni “consiglieri e soci industriali hanno replicato in qualche caso con toni duri” a Bolloré.
Nota Bocconi che, “se già è poco consueta questa dialettica fra vertici aziendali e vicepresidente, senza precedenti è stata la levata di scudi a difesa del management. Prese di posizioni singole, ma che hanno un punto in comune non solo negli argomenti: provengono da consiglieri e soci-industriali che rappresentano una novità importante maturata negli ultimi anni nella governance Generali”.
Prima c’è stata una nota di risposta dell’azienda, che rivendica di avere sempre agito con “estrema trasparenza” , ispirandosi a “principi di corretta gestione” , “nell’esclusivo interesse” di tutti gli stakeholder. Poi sono venuti Della Valle, Lorenzo Pelliccioli, amministratore delegato di De Agostini, e una nota di Ferak e Effeti, che nelle Generali detengono il 3,5 per cento per conto di importanti investitori veneti. Nel panorama degli azionisti di rilievo non hanno invece comunicato Mediobanca, primo socio con il 13,2%, ma è nota la sua posizione di sostegno a consiglio e management, e Francesco Gaetano Caltagirone, che non ritiene di parlare fuori dal board.
La cronaca di Bocconi trova riscontro il quella di Giovanni Pons di Repubblica e di Riccardo Sabbatini del Sole 24 Ore. Della Valle ha detto che “Bolloré e il presidente di Generali Cesare Geronzi devono rassegnarsi a tenere giù le mani” dalle Generali e ha parlato di un “forte imbarazzo di fronte ad argomentazioni pretestuose e vaghe” sollevate da Bolloré in Consiglio. Scivolando un po’ nel personale Della Valle ha aggiunto: “Non vorrei pensasse che la facilità avuta nel prendersi un ruolo centrale in Mediobanca, con il minimo sforzo, sia riproponibile in Generali. I tempi sono cambiati. Una parte dei protagonisti di allora non ci sono più e in alcuni casi non sono più determinanti” .
Per Pellicioli, è “stupefacente che un consigliere nonché vicepresidente rilasci dichiarazioni fuori” dal Consiglio, “entrando nel merito di specifiche decisioni operative”; la nuova governance del Leone “ha finora funzionato correttamente”. In Generali ricorda Sabbatini, è in vigore un sistema “duale” con una comunicazione operativa (fa capo a Perissinotto) e una comunicazione istituzionale (affidata al presidente), “per la quale è previsto un riesame in un prossimo consiglio”.
Su come quest’ultima è gestita nelle scorse settimane era partito all’attacco Della Valle ed ora, con le parole di Pellicioli, è lecito attendersi un nuovo cda rovente. Pelliccioli ha sottolineato lo «impulso» dato da Perissinotto all’ammodernamento delle Generali. Secondo Pelliccioli, è stata assicurata “ampia trasparenza sulle decisioni aziendali e risultati”. Il Consiglio ha sempre avuto le informazioni adeguate per consentire a un consigliere, capace di esercitare il suo ruolo, di prendere le decisioni che gli competono, che non prevedono interferenze improprie nell’attività operativa”.
Va invece a Perissinotto “l’apprezzamento per i risultati del 2010, ottenuti in un contesto particolarmente difficile”.
Sul Corriere c’è anche il commento di Massimo Mucchetti, secondo il quale le reazioni all’intervista di Bolloré “allargano lo strappo prodotto” dalla sua astensione sul bilancio 2010 e ora “il conflitto rischia di paralizzare la compagnia e Mediobanca, sua principale azionista”.
Mucchetti, che ama gli scenari, scrive: “Siamo forse al gran finale del dopo Cuccia, che si è già rivelato più lungo e complesso di quanto avessero previsto coloro i quali, nel 2003, licenziarono Vincenzo Maranghi, delfino del fondatore di Mediobanca. Il dopo Cuccia avrebbe dovuto essere governato da Cesare Geronzi in Mediobanca e poi in Generali secondo modi ordinati e per fini condivisi. «Vengo a Milano come pacificatore» , era il suo motto. Ma al dunque la stagione del power broker romano senza più Capitalia è stata segnata da ripetuti ed evidenti contrasti con i manager delle due società e con un certo numero di investitori nel 2009; nel 2010 e oggi, la forte pressione messa al capo azienda di Generali, Giovanni Perissinotto. L’instabilità però indebolisce le due società, esponendole a rischi diversi, tra cui la subordinazione della compagnia alla francese Axa, che in Italia è compratrice. Le attuali compagini azionarie di riferimento mostrano segni vistosi di logorio. Il 13%delle Generali in mano a Mediobanca resta un presidio, ma relativo. Nel 2003, quando Unicredit, Capitalia e Monte Paschi comprarono Generali, fu lo stesso Maranghi, che quel pacchetto aveva pazientemente costruito, ad alzare bandiera bianca perché non bastava a difendere la posizione a Trieste. L’anno scorso, Nagel subì il trasloco di Geronzi alla presidenza di Generali, non potendone contrastare i fautori tra i quali, allora, si contò il ministro dell’Economia”.
Consoliamoci, sembra dire Mucchetti: “Il tempo passa velocemente. Oggi gli investitori privati sono meno convinti e più divisi. Giulio Tremonti prepara leggi antifrancesi. E Fabrizio Palenzona propone una Mediobanca che si allea con i privati in grado di durare: la Fondazione Crt, Caltagirone, magari altri. Ma per mettere in sicurezza le Generali secondo questo schema privatistico, che non chiede l’ombrello del governo, ma ne ha la benedizione, bisogna che in Mediobanca regni la pace. Se Bolloré vota in un modo e Nagel in un altro, tutto vacilla. In Mediobanca, del resto, si va a un chiarimento. Giustificare ancora Bolloré e i suoi amici di Groupama in un sindacato azionario che appoggia il management guidato da Nagel è sempre più ardito”.
La compagine azionaria di Mediobanca, ricorda Mucchetti, è suddivisa in quattro blocchi: i francesi all’ 11%, Unicredit con Ligresti al 12%, i numerosi soci industriali con Berlusconi e Doris al 20% e, fuori patto, le fondazioni bancarie al 12%. Le possibilità sono due: o i francesi vendono a investitori graditi, a cominciare da Della Valle, già pronto a comprare, oppure il patto viene ricostituito senza i francesi. In questo caso, il patto scenderebbe dal 44 al 35%oppure risalirebbe imbarcando in tutto o in parte le fondazioni.
Secondo Mucchetti, “il management predilige la prima soluzione. Per non avere in giro un pacchetto corsaro nelle mani di un raider come Bolloré e per non contaminare la purezza privatistica della ditta con le fondazioni, per quanto amichevoli siano. In verità, il dna di Mediobanca appare destinato a evolvere comunque, nel momento in cui il dopo Cuccia si intreccia al dopo Profumo”.
Sullo stesso filone di Mucchetti è anche Antonella Olivieri del Sole 24 Ore, con questi tre punti: “Della Valle rilancia e apre il dossier Mediobanca. Il patto che vincola il 45% del capitale di Piazzetta Cuccia scade a fine anno. Nuovo faccia a faccia lunedì alla Rcs Quotidiani”.
Scrive Olivieri che Della Valle “non è più una voce isolata dal coro, un picconatore folle del sistema precostituito. Non si era mai vista una tale levata di scudi a difesa del riservato management Generali, che ha mobilitato piccoli azionisti e sindacati, non solo i grandi soci rappresentati nel board della compagnia”.
L’articolo poi snocciola una ricostruzione degli errori e dei passi falsi di Bolloré, “isolato, in un sistema Italia insolitamente arroccato contro il pericolo di calata gallica”, al quale, “da quando ha rotto il sodalizio pluridecennale con l’anziano suo mentore Antoine Bernheim non ne è andata più una per il verso giusto”.
Ricorda “il passo falso dell’ingresso in Premafin che, oltre a gettare l’ombra del conflitto d’interessi per la contemporanea presenza nell’azionariato e nel board di due gruppi concorrenti, gli è costato l’imbarazzo di non essere stato utile alla causa di Groupama” e si è concluso con la ritirata dei francesi, “davanti al niet della Consob a posare il cappello senza passare dalla strada obbligata dell’Opa”, e con Bollorè “incartato, a prezzi presumibilmente non molto distanti da 1 euro se ha comprato sul mercato le azioni che oggi valgono poco più di 60 centesimi”.
Infine, ricostruisce Olivieri, “esporsi a criticare le gestione di Generali, nel consiglio che si è tenuto in settimana con l’unica astensione sul bilancio e con la successiva intervista al «Corriere della Sera», ha avuto l’effetto, probabilmente nè previsto nè desiderato, che a contestare le sue affermazioni non fosse più solo il “solito” Della Valle, ma questa volta anche Pellicioli e gli azionisti di Ferak che hanno affidato le loro considerazioni, non proprio tenere, a lunghi comunicati”.
I tempi stanno cambiando e per sottolinearlo “Della Valle rivolgendosi a Bolloré gli ha fatto sapere che “se decidesse di dismettere la sua quota in Mediobanca, troverebbe oggi molti italiani disposti a immediatamente, me compreso”. Difficilmente però Bollorè deciderà di mollare la presa: a lui l’Italia piace davvero. La prossima puntata lunedì quando alcuni dei protagonisti di questa vicenda si ritroveranno faccia a faccia nel consiglio di amministrazione di Rcs Quotidiani”.