“Una settimana di ferie in meno, un punto di Pil in piĆ¹”: ha fatto rumore la proposta del sottosegretario all’Economia Gianfranco Polillo, fatta in un momento in cui tutti gli uffici italiani sono alle prese col piano ferie estivo.
Proposta alla quale ha replicato il nostro opinionista Gustavo Piga, che ha replicato che l’idea di Polillo ĆØ “dirigista”, che “il tempo libero ĆØ benessere” e che “piuttosto che andare dal numero di ore lavorate alla produttivitĆ , come fa Polillo, bisognerebbe dire che la maggiore produttivitĆ (e i connessi maggiori salari che le imprese possono dare) porta piĆ¹ gente a decidere di lavorare (mentre coloro che giĆ lavorano decidono di lavorare sempre meno). E dunque stimolare politiche della produttivitĆ per stimolare maggiore lavoro e non viceversa”.
CosƬ ha risposto Polillo, in una lettera aperta:
Caro Gustavo @GustavoPigaĀ
sottoscriverei volentieri il tuo appello, se non incombesse il āfiscal compactā, se il debito pubblico italiano non avesse raggiunto il livello che conosciamo, se il deficit di bilancio non avesse la propensione ad aumentare ad ogni respiro, se il livello della tassazione fosse identico a quello di altri Paesi simili a noi per struttura economico ā sociale, se i servizi pubblici offerti quale contropartita del forte prelievo fiscale fossero ā non dico tanto ā simili a quelli francesi e via dicendo. Ma purtroppo non ĆØ cosƬ ed ĆØ con questa realtĆ che dobbiamo misurarsi: non con quella che vorremmo fosse.
Tutto il resto del tuo ragionamento fila. Sul piano teorico. E sul pratico che vedo qualche difficoltĆ . Aumento della produttivitĆ totale dei fattori e di quella industriale, quale presupposto per un aumento dei salari: assolutamente dāaccordo. Se partiamo oggi, ci vorrĆ un poā di tempo per avere risultati. E nel frattempo? Si sottovaluta la pervicacia di questa crisi. Negli ultimi cinque anni gli investimenti sono diminuiti (dati ISTAT) ad un ritmo medio trimestrale del 4 per cento. In valore assoluto (prezzi 2005) sono ancora del 20,2 per cento inferiori al primo trimestre del 2007. Aumentare la produttivitĆ , in queste circostanze, ĆØ per lo meno difficile.
Dove sono finiti, quindi, gli animal spirits italiani? Sono scomparsi o non reagiscono, invece, agli stimoli del mercato? Nel primo trimestre di questāanno il MOL (margine operativo lordo) era pari 33,5 per cento del valore aggiunto (Banca dāItalia ā Rapporto sulla stabilitĆ finanziaria, pag. 18) āscendendo al livello piĆ¹ basso del 1995ā. Proviamo a calcolarci sopra gli oneri finanziari (circa il 22 per cento). Le tasse pesano per un altro 60 per cento. Con la differenza (18 per cento) dovremmo spesare gli ammortamenti e lāefficienza marginale del capitale (Keynes). Ossia il suo rendimento. Unāequazione impossibile. Possiamo decretare lāeutanasia del rentier, come teorizzava sempre Keynes, ma non andremmo molto lontano.
Ed allora? Occorre intervenire sullāofferta, aumentando il MOL. Se cresce questa torta, gli altri elementi possono trovare una migliore sistemazione. Per farlo occorrono, in prospettiva, maggiori investimenti. Ma il loro volano iniziale non puĆ² che essere un maggiore rendimento del capitale investito. Ecco allora il āpatto tra produttoriā, come ĆØ avvenuto in Germania. Si lavora un poā di piĆ¹, con un sacrificio limitato, visto la scarsa dimensione del tempo di lavoro (i confronti internazionali non sono poi cosƬ attendibili) con lāintesa di partecipare ad un beneficio futuro. SarĆ sufficiente?
Il discorso sulla domanda, nelle condizioni date, rischia di essere un problema irrisolvibile in un ottica keynesiana. CiĆ² che conta non ĆØ il basso grado di utilizzazione degli impianti. Questo indicatore ĆØ valido nel caso di unāeconomia competitiva. Se la crisi, invece, nasce da un deficit endogeno il discorso non vale piĆ¹. Anzi diventa controproducente: se aumentiamo la domanda interna il surplus se ne va, comāĆØ avvenuto nel caso del fotovoltaico, in importazioni. Questo ĆØ il punto cruciale da comprendere.
Lāattuale domanda, in Italia, corrisponde a ciĆ² che Marx definiva āil tempo della riproduzione necessariaā per la forza lavoro. Equivale cioĆØ alla somma dei consumi delle famiglie e della Pubblica Amministrazione (in questa grandezza comprendiamo ovviamente anche il costo di riproduzione dellāimprenditore). Il potenziale produttivo esistente garantisce un equilibrio? La risposta, purtroppo, ĆØ negativa. Il deficit delle partite correnti della bilancia dei pagamenti, negli ultimi 3 anni, ĆØ stato pari a circa il 3 per cento del Pil. Ogni anno, pertanto, per sostenere i consumi (e non gli investimenti) dobbiamo chiedere in prestito dallāestero circa 50 miliardi di euro. Stiamo, quindi, vivendo, come hanno fatto gli americani in tutti questi anni al di sopra delle nostre possibilitĆ . Con due differenze: non possiamo stampare lire e non abbiamo la Cina che accumula riserve nella nostra moneta.
Per inciso, questo dato spiega piĆ¹ di altri la nostra fragilitĆ finanziaria. Nel 1997 solo il 22 per cento del nostro debito era in mano ai non residenti. A forza di farci prestare soldi dallāestero, questa percentuale, nel 2010, ĆØ raddoppiata (44 per cento), per poi diminuire lāanno successivo a seguito delle vendite che hanno spinto verso lāalto gli spread. Possiamo continuare come se niente fosse? Per farlo dobbiamo pagare dazio, ma le risorse a nostra disposizione si sono esaurite.
Proviamo allora a rovesciare il ragionamento keynesiano. Con un piccolo sacrificio (contratti di secondo livello a vantaggio delle imprese che sono in grado di stare sul mercato, in una percentuale non trascurabile ā Ignazio Visco: Economic and policy interconnections in the current crisis) ĆØ possibile rimettere in moto il processo di accumulazione. Quindi aumento dellāefficienza marginale del capitale quale condizione per una ripresa degli investimenti. Occupazione che, pertanto, riprendere a crescere e con essa la domanda interna. Mentre lāaccresciuta produttivitĆ , che ĆØ il riflesso di questa inversione di tendenza, spinge verso una chiusura del gap delle partite correnti della bilancia dei pagamenti.
In prospettiva: si esce dalla crisi rendendo partecipe il mondo del lavoro in questāopera di āricostruzioneā. Cito questa parola tra virgolette per richiamare alla mente quel passato storico che ha fatto grande unāItalia distrutta dalla guerra. Oggi ci vorrebbe un impegno molto minore, solo che se ne abbia piena consapevolezza.
UnĀ saluto,
Gianfranco Polillo
#polillo @polillog